Berlusconi, Fini e Letta riuniti nella notte a Palazzo Chigi Il premier vuole subito le dimissioni dell'esponente leghista
Il pasticcio del ministro leghista infiamma forse più la Cdl che la sinistra. Perché è una mina che sconquassa il Polo in una campagna elettorale già al fulmicotone. E perché il rischio non è solo quello politico del centrodestra, ma del Paese intero, per i pericoli dall'Islam che attira sullo Stivale, pericoli creati proprio da un ministro del centrodestra che ha infilato la maglietta anti-Islam proprio davanti alle telecamere di «Dopo il Tg1» di Mimun, quello più vicino al Capo del Governo. È furioso Berlusconi. Lascia in anticipo Perugia, dove ha passato la giornata per il comizio elettorale e poi l'incontro conviviale con gli imprenditori all'hotel Brufani. «C'è un atteggiamento di condanna per quello che è accaduto. Credo che il ministro Calderoli debba immediatamente presentare le proprie dimissioni», dice Berlusconi già nel capoluogo umbro. Insomma, questa della maglietta non ci voleva proprio. Glielo aveva detto anche il vicepremier, Gianfranco Fini: «In un momento così difficile tutti, e a maggior ragione un ministro della Repubblica, devono attenersi a comportamenti seri, responsabili». E proprio Fini cercherà di smorzare l'incendio nell'incontro con gli ambasciatori arabi fissato a Roma, alla Farnesina, per il 23 febbraio. Anche nel resto della maggioranza la reazione è dura. Il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa usa toni non dissimili da quelli usati dall'opposizione: «Quello che sta accadendo dimostra che le parole e le iniziative del ministro Calderoli oltre a essere vergognose sono irresponsabili, e non possono trovare spazio nella Cdl». Più cauto il presidente dei deputati di An, Ignazio La Russa, che tuttavia non esita a condannare la t-shirt di Calderoli. «Non bisogna mai buttare benzina sul fuoco, non bisogna eccitare gli animi». Anche se aggiunge subito: «Ma il buon senso non deve diventare viltà». Soltanto Speroni dà ragione al compagno di partito: «Ad un certo punto non siamo più liberi di vestirci come vogliamo». Ma il capo carismatico delle camicie verdi, Bossi, è di tutt'altro avviso. Il cav gli telefona e incassa l'immediata adesione del senatùr. «Ho parlato con Bossi, è d'accordo con me», sillaba il premier. Gli serve questa condanna del leader della Lega che, pure se per interposta persona, prende le distanze dalla «scheggia impazzita» delle camicie verdi. Ma è Berlusconi che riversa sdegno come un fiume in piena. Ricorda che la posizione del suo governo sull'Islam è sempre stata «molto chiara»: «Bisogna cercare il dialogo e mai lo scontro. E la nostra visione non è mai cambiata. Ci vuole un rapporto di dialogo tra le religioni e tra le civiltà». «Sull'Islam - insiste il premier - la nostra posizione è quella di sempre, che ho avuto più volte occasione di manifestare anche quando ho incontrato tutti gli ambasciatori islamici. Anche a Perugia ho ricordato che la nostra posizione è per la libertà di tutti i culti e per la continua ricerca del dialogo tra le diverse civiltà». E insiste: «La nostra posizione è assolutamente trasparente. Ci siamo immediatamente detti contrari a quanto era stato fatto da Calderoli e abbiamo subito distinto le nostre responsabilità da quanto messo in atto dal ministro a cui chiederemo le immediate dimissioni». Il resto della serata il cav la passa in costante contatto con il Viminale per seguire gli ultimi sviluppi della situazione. Con Pisanu vuole accertare all'inizio se le notizie che arrivano da Bengasi corrispondano al vero, poi vuol capire l'entità degli scontri. Poi la notte all'unità di crisi subito allestita a Palazzo Chigi. Con Fini e Letta.