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A sinistra non c'è solo Ferrando

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Al di là dei giochi di parole e dando per scontato che ognuno, pur facendo parte della stessa coalizione elettorale, può avere le sue opinioni più o meno eterogenee, quello di Ferrando non è un caso isolato. E non è un bel biglietto di presentazione per chi vuole offrire agli italiani un'immagine di stabilità governativa della prossima legislatura. Prima del trotzkista dissidente di Rifondazione, che in un'intervista ha legittimato il diritto dei «partigiani» iracheni a sparare sui suoi connazionali in divisa, altri avevano infatti creato imbarazzo (e qualche grattacapo) alla linea della compagine guidata e tenuta insieme a fatica da Romano Prodi. Non sempre si è trattato di futuri candidati alle urne ma sempre e comunque di figli o figliastri della sinistra, riconosciuti e «protetti» dai padri e patrigni. All'indomani della strage del 12 novembre 2003 in Iraq che fece 19 vittime fra militari e civili italiani, oltre alle anonime scritte sui muri che riecheggiavano slogan degli Anni Settanta («10,100,1000 Nassiriya» trae ispirazione da «10,100,100 Annarumma», un poliziotto ucciso il 19 novembre 1969 a Milano durante una manifestazione dei marxisti-leninisti) il leader dei «disobbedienti» Luca Casarini si rifiutò persino di regalare una parola di pietà alle vittime dell'attentato kamikaze: «Questa parata di regime nella quale tutti si stracciano le vesti è una fesseria - disse due giorni dopo la carneficina - La mia pietà umana va ai poveri indifesi che subiscono le politiche assurde di chi manda i soldati». A fargli eco, il «cattivo maestro» Toni Negri, che lanciò il suo triplice anatema contro il governo: «Maledetti, maledetti, maledetti...!». E aggiunse, spiegandosi meglio: così «come dissero i nostri padri che furono mandati a morire dai fascisti, noi lo diciamo a coloro che hanno mandato questi uomini a morire oggi». Un altro pomo della discordia fu apparentemente linguistico ma in realtà molto politico e riguardò la «qualifica» da attribuire ai body-guard italiani rapiti a Baghdad: «eroi» per alcuni, «mercenari» per altri. Per Vittorio Agnoletto, a capo del Forum Sociale e all'epoca (2004) candidato alle europee nelle liste rifondarole, non c'erano dubbi: «Il secondo esercito presente in Iraq è un esercito di mercenari che dipendono direttamente dalle multinazionali». E ancora: «...smettiamola con questa questione dei funerali di Stato, di trasformare queste persone in eroi». Neppure le ultime parole di Fabrizio Quattrocchi, in controtendenza rispetto a una sinistra che rifiuta ogni tipo di identità nazionale anche quando questo si traduce nel riconoscersi nello stesso popolo e nell'orgoglio di appartenere a un Paese, potrebbero ricondurre alla ragione questi estremisti dall'insulto facile. D'altra parte, oltre a sputare sui morti, c'è chi fa politica a colpi di escrementi. Come Nunzio D'Erme, leader dei disobbedienti romani ed ex delegato del sindaco di Roma per la «partecipazione democratica e il bilancio partecipato». Il quarantaduenne, eletto come indipendente nelle liste del Prc, nell'ottobre del 2003 manifestò il suo «dissenso» gettando tre bidoni di letame davanti all'ingresso della sede della presidenza di Forza Italia e residenza romana di Berlusconi. Intanto, dopo il ritiro (ufficioso ma che diventerà ufficiale domani) della candidatura di Marco Ferrando, continua il valzer delle candidature: il segretario dei Ds Fassino ha annunciato ieri che candiderà l'ex direttore dell'Unità Furio Colombo e Pietro Larizza, ex segretario generale della Uil. Mentre l'Udeur di Mastella proporrà agli elettori il nome dell'imprenditore Antonio Angelucci, editore del quotidiano «Libero» e presidente della Tosinvest.

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