Rifondazione ritira la candidatura di Ferrando
Dall'altra parte della scrivania c'è Francesco Ferrara, responsabile dell'organizzazione del Prc e membro della segreteria. L'atmosfera è tesa. Le dichiarazioni di Marco Ferrando, che in un'intervista ha legittimato la guerriglia e il «diritto» degli iracheni a sparare anche contro i suoi connazionali in divisa, hanno provocato un terremoto. Aggravando le palesi divisioni all'interno dell'Unione e danneggiando l'immagine pacifista di Rifondazione. «La tua candidatura è incompatibile con il partito e quindi abbiamo attivato la procedura per revocarla», gli dice Ferrara senza tanti complimenti. Il «dissidente» non si arrende. Incassa il colpo ma tenta di contrattaccare, almeno per garantire la continuità della sua «fazione» in campagna elettorale. «Allora mettete al mio posto Franco Grisolia», propone Ferrando. Il «niet» di Ferrara è secco, quasi stizzito: «Non spetta a te avanzare candidature e decidere chi deve prendere il tuo posto. Sei stato convocato soltanto per ricevere una comunicazione». Ferrando, che a questo punto ha perso completamente l'appetito, assorbe la seconda «batosta» con dignità. E minaccia: «Faremo battaglia». Una promessa mantenuta nell'arco di poche ore. Già nel primo pomeriggio, infatti, sulle agenzie di stampa e alla radio rimbalzano le sue dure dichiarazioni: «La notizia dell'esclusione è del tutto falsa. La mia candidatura al momento c'è», sostiene a Radio Radicale. «C'è una proposta di revoca agli organi del partito che verrà discussa nei prossimi giorni. Su questo c'è uno scontro aperto all'interno di Rifondazione», aggiunge. «Farà un passo indietro?», gli chiedono. «Vuole che mi faccia da parte perchè lo hanno chiesto Fini, D'Alema (che definisce "un ex presidente del Consiglio già promotore di guerre umanitarie") e Prodi? Questo no. Le cose che ho detto sul diritto alla lotta di liberazione da parte del popolo iracheno sono condivise almeno dal 41% del partito, come testimoniano gli atti congressuali», risponde il trotzkista. Poco prima Ferrando aveva sottolineato che «il partito rischia di subire un'umiliazione pubblica e la sua stessa sovranità politica è in pericolo di fronte alle pressioni che vanno da Fini a Prodi», dicendosi certo che «ora le minoranze si faranno carico di una battaglia a difesa della democrazia interna che non coinvolgerà solo "Progetto Comunista"», la componente che lui rappresenta. Una «chiamata alle armi» che non sembra preoccupare i vertici dell'organizzazione guidata da Bertinotti. «Ribadiamo la nostra radicale avversione per posizioni come quelle di Ferrando che sono opposte a quelle del partito - precisa il capogruppo alla Camera del Prc Franco Giordano - Inoltre, il nostro orientamento è decisamente maggioritario. La linea politica di Rifondazione è stata decisa al congresso, è largamente consolidata e non è in discussione». Ma è vero che il 41 per cento dei vostri «compagni» condivide le idee di Ferrando? «Lui fa un'operazione tecnica, non politica. Somma le diverse minoranze che rappresentano l'opposizione interna. Ma queste sono di segno diverso l'una dall'altra e sull'argomento in questione non è detto che siano d'accordo». Crede che Ferrando abbia sbagliato in buona fede? «Non sono in grado di dirlo. Ma la sua posizione offusca la linea generale del partito e ci ha messo in difficoltà: doveva tener presente che sta dentro un meccanismo. Adesso bisogna rapidamente parlare d'altro, del fallimento della politica economica di Berlusconi e del programma dell'Unione», conclude Giordano. Quello che attende ora l'incauto trotzkista è una sorta di «teleprocesso». In questi giorni ci saranno consultazioni via filo con i quasi 300 membri del comitato politico nazionale. Ognuno esprimerà la sua opinione: sì o no, fuori o dentro. E venerdì la decisione diventerà «ufficiale», anche se è abbondantemente scontata. Insomma, con quella frase fuori luogo il dissidente Ferrando s'è giocato la candidatura.