Ora la piazza sceglie il lavoro

Però vogliono costruire, non distruggere. Sono operai e sfilano in corteo, ma non sventolano bandiere rosse. Sotto un sole accecante e insieme avaro di calore, sferzati da una gelida tramontana, marciano innalzando striscioni fatti in casa con vecchie lenzuola e un paio di bombolette spray. E su quasi tutti campeggia la più breve e decisa delle affermazioni: «Sì». All'occupazione e allo sviluppo, prima di tutto, e poi anche alla salute perché non è detto che il carbone sia il peggiore dei mali. Sono lavoratori ma il sindacato non è compatto dalla loro parte, anche se rischiano il posto. Nessuno dei 1200 tra dipendenti Enel e delle ditte appaltatrici ha scioperato per partecipare alla manifestazione. Qualcuno ha timbrato il cartellino. Qualcuno ha addirittura preso un giorno di ferie. È l'Italia «anomala» e controcorrente, che rifiuta l'assistenzialismo e vuole vivere con dignità invece di sopravvivere con i soldi dello Stato. L'Italia che non si ciba di luoghi comuni. Non ciecamente ecologista, non proto-sindacalista. Una piccola ma significativa porzione di questa Italia ieri è scesa in piazza a Civitavecchia per dire sì alla riconversione della centrale di Torre Valdaliga Nord. Il corteo parte dalla centrale e si ferma una prima volta in via Isonzo. Da lì tutte le mattine i dipendenti Enel e quelli delle ditte impegnate nello smantellamento della struttura (che andava avanti con olio combustibile) passano per andare al lavoro. Il lavoro, questo è il punto dolente. La sua difesa è la bandiera dei manifestanti. Ma non a ogni costo. «Molti di noi sono di Civitavecchia - sottolinea Emanuele, 34 anni - Amiamo la nostra città e ci teniamo alla salute. Ma io se perdo il posto non ho altre possibilità. Mi ritrovo in mezzo a una strada». E allora è meglio scendere subito, in mezzo alla strada, brandendo a quattro mani striscioni con su scritto: «Sì al distretto industriale», «Sì al lavoro, alla salute, allo sviluppo» e (unica e solitaria negazione) «No alla disoccupazione». L'ultimo corteo organizzato a Civitavecchia risale a sei anni fa. Sul tavolo c'era sempre il problema dell'occupazione, in quel caso relativa al porto. Mentre camion, gru e altri mezzi industriali percorrono a passo d'uomo la «bretella» suonando i clacson, la cittadina di 50mila abitanti che si affaccia sul mare guarda passare gli uomini in tuta affacciata alla finestra, o sui marciapiedi. E applaude, sebbene non manchino le polemiche interne al fronte del «sì». Quando qualcuno lancia slogan contro il governatore del Lazio, c'è chi replica ad alta voce: «Non è vero, non è vero niente...». Poi si spiega meglio: «Marrazzo non vuole bocciare la riconversione, ne sono sicuro, é soltanto una strumentalizzazione politica», dice Alessandro, elettricista di 44 anni. «Qualsiasi decisione Marrazzo prenderà deve tener conto di questa gente - ricorda Lucio, 45 anni e due figli - È una questione di sopravvivenza». Che sia una questione più politica e occupazionale che ambientale lo pensano in molti. «Tutte le centrali inquinano. Ma non capisco perché i "verdi" hanno votato contro il nucleare e ora protestano contro il carbone, che è sicuro - commenta Alberto, 42 anni e anche lui padre di due bambini - La verità è che per loro è una protesta a sfondo politico». L'inquinamento, inoltre, è un argomento molto "tecnico". E se i «no coke» sostengono che il carbone è un pericolo mortale per i polmoni, c'è chi sfodera dati in suo favore: «Non siamo ribelli e facinorosi e questo della riconversione è un progetto all'avanguardia anche per lo smog. Siamo nei limiti di Kyoto, i timori degli ambientalisti sono infondati», sostiene Pasquale, 58 anni, imprenditore. «È l'olio che fa male - gli fanno eco in molti - I nuovi impianti prevedono un abbattimento dell'80 per cento (ma c'è chi parla perfino del 99,9% ndr). Comunque, se l'Enel non mantiene i patti per la manutenzione, siamo pronti a scendere di nuovo in piazza per far chiudere la centrale, mica vogliamo morire avvelenati...!». Il corteo va avanti. I manifestanti arriv