I Ds diventano gli «sbirri» dell'Unione
Continua a far discutere la decisione della Quercia di candidare l'ex magistrato del pool Mani Pulite Gerardo D'Ambrosio al Senato. E continua a far discutere soprattutto all'interno dell'Unione dove sono in molti a definirla una «scelta discutibile». In un colpo solo, infatti, la Quercia ha ridato fiato a Berlusconi e al suo teorema delle «toghe rosse». Ma soprattutto ha riportato sullo sfondo del dibattito politico la questione Unipol. Sì, perché anche se nessuno lo dice pubblicamente, c'è una domanda che ronza nella testa di deputati e senatori dell'Unione: «Non è che con questa candidatura i Ds sperano di chiudere una volta per tutte la vicenda Unipol facendo pace con il fronte giustizialista che, in questi mesi, li ha messi sotto tiro?» Ma c'è anche un altro aspetto che potrebbe diventare assolutamente dirompente in vista, non solo della campagna elettorale, ma di un futuro governo ulivista. La svolta «poliziesca» della sinistra italiana. Passi per i magistrati. La storia delle «toghe rosse» è vecchia come il mondo al punto che non è certo un segreto che, all'interno dell'Associazione Nazionale Magistrati, ci sia una «corrente» di sinistra che va sotto il nome di Magistratura Democratica (negli anni '70 qualcuno la definiva addirittura la «longa manus del Pci»). In fondo le cronache di questi anni sono piene di magistrati «rossi» che hanno cercato, con alterne fortune, di scalare le istituzioni pubbliche (locali e nazionali). Tre esempi su tutti, giusto per rimanere nell'immediato presente: Antonio Di Pietro (eletto nel rossissimo Mugello), Felice Casson e Michele Emiliano. Il primo, reso noto dal filone milanese di Tangentopoli, smessa la toga, si accasò comodamente nel centrosinistra facendo inalberare il compagno Bertinotti. «Una cattiva notizia - fu il commento del segretario di Rifondazione dopo l'annuncio dell'ingresso di Di Pietro nel primo governo Prodi -. La condizione di ex magistrato non costituisce un titolo per un impegno di governo». Vita difficile anche per il secondo. Ma stavolta, di fronte alla candidatura di Casson (il giudice reso famoso dal «caso Gladio») alla poltrona di sindaco di Venezia, fu Francesco Rutelli a puntare i piedi. Come è andata a finire è cosa nota, Casson si è candidato contro Massimo Cacciari, ha perso, e ora c'è chi pensa di dargli una seconda possibilità alle prossime politiche. Più fortunato Emiliano che, nonostante nel suo recente passato potesse addirittura vantare l'aver messo sotto inchiesta la missione Arcobaleno voluta da D'Alema, oggi siede comodamente sulla poltrona di sindaco di Bari (voluto lì da D'Alema). Ma non finisce qui. Che dire infatti dell'ex prefetto di Milano Bruno Ferrante candidato sindaco contro Letizia Moratti? Un poliziotto in carne ed ossa, mica chiacchiere. «A me, cittadina di Milano - ha detto Franca Rame, moglie di Dario Fo, vero antagonista di Ferrante alle primarie dell'Unione -, fa impressione pensare di avere per sindaco un ex prefetto, vicecapo della polizia nel governo Dini, voluto da Maroni». E per un poliziotto in carne ed ossa che spera di diventare sindaco di Milano c'è un sindaco in carne e ossa che prova a fare il poliziotto. Sergio Cofferati, il «Cinese» delle lotte sindacali, oggi fa il sindaco di Bologna e, sul tema della legalità, ha iniziato una vera e propria battaglia contro i «compagni». Al punto da meritarsi l'appellativo di «fascista» per aver fatto intervenire la polizia durante una manifestazione di protesta (manifestazione in cui è stato ferito il segretario provinciale di Rifondazione Tiziano Loreti). Qualche polemica, ma appena appena accennata, ha sollevato anche un'altra scelta: quella di candidare Rita Borsellino a presidente della Regione Sicilia. Polemiche elettorali certo (Rutelli avrebbe preferito candidare il rettore dell'Università di Catania Ferdinando Latteri), ma anche politiche. «In memoria di un giudice di destra» titolò una volta Liberazione celebrando l'anniversari