CONGRESSO A FIUGGI
Dopotutto è a causa di Tangentopoli se oggi i socialisti combattono l'un contro l'altro armati su opposte barricate. Così quando ieri Enrico Boselli, nella sua relazione introduttiva al IV congresso dello Sdi, ha pronunciato il nome di Gerardo D'Ambrosio, dalla platea dei delegati si sono alzate bordate di fischi. Fischi che si sono trasformati in applausi (qualcuno ha addirittura improvvisato una standing ovation) non appena il segretario del partito ha contestato l'ipotesi che l'ex pm di Mani Pulite possa essere candidato al Senato all'interno della lista dei Ds. Boselli ha definito la scelta di candidare l'ex procuratore capo di Milano «profondamente sbagliata». «Ora - ha detto Boselli - assistiamo alla candidatura del dottor Gerardo D'Ambrosio che è stato protagonista del pool Mani pulite. Si tratta di una scelta che io considero profondamente sbagliata». «Se il centrosinistra - ha aggiunto - vuole efficacemente contrastare Berlusconi deve sposare in pieno i principi della democrazia liberale, fugando qualsiasi sospetto che possa portare ad una rivisitazione storica nella quale si consideri il pool di Mani pulite teleguidato dai Ds. Se non ci capisce questa verità elementare, allora le nostre preoccupazioni aumentano notevolmente». Ma Boselli è andato addirittura oltre scagliandosi contro il processo di costituzione del partito democratico. «Non ci convince proprio un partito democratico che fa affiorare una sorta di asse tra il clericalismo dei seguaci del cardinale Ruini, e il giustizialismo dei simpatizzanti del dottor D'Ambrosio» è stato il commento del presidente dello Sdi. «Emerge così del tutto chiaro - ha aggiunto - che il progetto del partito democratico, così come si sta definendo, è ben lontano da quel big bang tra diversi riformismi che ricorrentemente viene evocato da Arturo Parisi e da Michele Salvati e che, lo ribadiamo, ci trova d'accordo». «Assomiglia molto di più - ha continuato Boselli - ad un compromesso tra due partiti che insieme, invece di rinnovarsi, sono istintivamente attratti a riconfermare le proprie identità e quindi, ad essere incapaci di produrre una forza politica davvero nuova». «Noi - ha proseguito - abbiamo immediatamente avvertito la necessità di assumere una iniziativa politica che intervenisse nella breccia creatasi nel processo di costituzione dell'Ulivo. Qualcuno ha scritto che per i socialisti la Rosa nel pugno è stata una ritirata strategica dopo il fallimento dell'Ulivo a cui avevamo tanto creduto: no, è stata una scelta strategica».