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I centristi tornano a mettersi di traverso per recuperare voti

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Ma c'è un imbarazzo evidente. Presidente della Camera e, di fatto, segretario dell'Udc in attesa di «ufficiliazzazione» con tanto di leadership «prestata» a Lorenzo Cesa. Alla sindrome da doppia personalità politica, Pier Ferdinando Casini, il centrista, che siede sullo scranno più alto della Camera, ieri mostra una terza faccia, quella folliniana del guastatore della Cdl. Dall'ex segretario dimessosi qualche tempo fa ha ereditato la carta vetrata per graffiare il premier. E al consiglio nazionale offre alla platea plaudente tutto il campionario di repertorio. Primo attacco, sul proporzionale. Definendola «molto pericolosa», sgrana il rosario dei «ma» di una legge che «ha complicato il lavoro dei partiti». Paventando il rischio di un «maxiastensionismo». Le polveri accese bruciano in fretta la miccia. Casini non fa sconti al leader della coalizione al quale fa riferimento quando dice «siamo scomodi nell'alleanze, non faremo portatori d'acqua dei vincitori». È un duello a distanza anche se appare evidente l'imbarazzo. Già, perché fino a prova contraria è ancora il presidente della Camera e il ruolo istituzionale gli impedisce di entrare a capofitto nell'agone politico. Deve aspettare che le Camere si sciolgano. E qui il problema: da un lato fare sistema con il grande capo Berlusconi sul posticipo, dall'altro tifare per lo scioglimento nei termini finora stabiliti ed entrare così a gamba tesa nella mischia della campagna elettorale. Però i malumori serpeggiano, allora tanto vale chiarire: «Io penso di aver fatto il presidente della Camera in modo sereno ed obiettivo, garantendo i diritti della maggioranza e dell'opposizione ed ho intenzione di distinguere fino all'ultimo il mio ruolo di guida politica dal mio ruolo istituzionale». Intanto, prepara il terreno e afferma «che la soluzione della crisi della politica non è nella scelta dei partiti personali». Esplicito quando si rivolge in modo esplicito al presidente del Consiglio dagli studi di Porta a Porta: «Fini e Casini hanno creato una discontinuità oggettiva, Berlusconi è in campo, ma deve misurarsi con altri due leader che, se prenderanno più voti, andranno loro a Palazzo Chigi. Ma se vince Berlusconi noi non avremo alcun imbarazzo». La convivenza non è facile. Più che attaccare il centrosinistra, la missione di Casini è quella di punzecchiare il premier, così come ha fatto in passato Follini. Ogni occasione è giusta e le parole di Berlusconi sulla Democrazia cristiana (in realtà associate a Romano Prodi) sono il pretesto per una nuova polemica: «Ricordo a Berlusconi, che il comunismo lo ha sconfitto la Dc». In realtà le ultime uscite di Casini («A Berlusconi e Fini dico che siamo alleati per sconfiggere la macchina da campagna elettorale di Prodi. Ma non ho nessuna ansia di fare un partito né con Berlusconi né con Fini») non soprendono visto che hanno il sapore delle cose già sentite. È da tempo, infatti, che il presidente della Camera veste i panni di anima critica della Cdl. Per nulla in sintonia con le scelte berlusconiane. Le cronache politiche ricordano la bocciatura centrista della decisione del premier di andare dai giudici per la vicenda Unipol. Di recente, invece, la presa di posizione sulla par condicio che il presidente del consiglio vorrebbe cambiare e Casini mantenere nell'interesse ovvio del suo partito. Casini scalpita, ha fretta di suonare la campanella e gridare il rompete le righe, c'è il partito che l'attende.

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