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E Fassino disse «qualcosa di sinistra»

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Il numero uno del Botteghino avverte: «L'Ulivo non nascerà cancellando quello che siamo»

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Davanti ad una platea di oltre 3.000 segretari di sezione (Fassino ha orgogliosamente sottolineato come i Ds siano l'unico partito a poter contare 6.000 sezioni su un totale di 8.000 comuni italiani) che hanno cominciato ad arrivare al Palafiera di Roma intorno alle 9.30, Piero Fassino e Massimo D'Alema hanno spazzato via gli ultimi dubbi residui sulla vicenda Unipol-Bnl (quelli che avevano accolto il segretario della Quercia la sera prima nella sua visita alla sezione di Roma ponte Milvio) e hanno lanciato il rush finale in vista delle prossime elezioni. Dietro il palco un fondale rosso con una scritta a caratteri cubitali: «9 aprile 2006. Domani è un altro giorno». Un auspicio, ma anche una convinzione. La convinzione di una vittoria che non è scontata, ma possibile. Ma soprattutto è «necessaria», perché, come urla Fassino nel suo intervento: «Non accetteremo nessuna proroga della legislatura perché questi prima se ne vanno e meglio è». Il Ds pride inizia sulle note di Bella ciao (versione Modena City Ramblers) e de Il cielo è sempre più blu di Rino Gaetano. Tocca a Maurizio Migliavacca, coordinatore della segreteria nazionale, l'onore di aprire i lavori. Poi è la volta della relazione della responsabile dell'organizzazione Marina Sereni. Quindi largo agli interventi dei segretari, i veri protagonisti della giornata. Il primo a parlare, anche per il valore simbolico della sua presenza, è Toni Ciarvello, giovane segretario della sezione Ds di Corleone. La platea lo accoglie con uno scrosciante applauso, ma l'attesa è tutta per i big del partito. E a sorpresa l'eroe della giornata diventa Fabio Mussi. Il leader del Correntone, tra i più critici sullo scandalo Unipol, pur con le dovute sottolineature rivolge parole distensive a Fassino a D'Alema. Un segnale che il peggio è passato e che il partito, unito, può finalmente concentrarsi sulle elezioni che sono sempre più vicine (78 giorni all'alba). Per tutta risposta sia Fassino che D'Alema si esprimono senza tentennamenti su quella che, per Mussi, è ormai una questione di vita o di morte: il partito democratico del centrosinistra. Un partito di cui si parlerà dopo le elezioni, ma che non nascerà mai sulle ceneri della Quercia. È D'Alema ad esprimersi per primo. Il presidente, più di una volta, sottolinea la propria consonanza con la relazione di Mussi (ricorda che «Io e Fabio ci conosciamo dal febbraio del 1967») poi, rivolto al leader del correntone, lo rassicura: «Caro Fabio nessuno di noi potrebbe aderire a prospettive che cancellino le ragioni e le radici della sinistra in questo paese». E Fassino rincara la dose. «Se qualcuno pensa che si possa riunire i riformismi in Italia cancellando quello che noi rappresentiamo si condannerebbe alla sterilità e alla velleità». «A questo progetto politico - assicura il segretario dei Ds - ci vogliamo andare con la nostra storia, la nostra identità, i nostri valori come una grande forza che rappresenta milioni di donne e di uomini». La platea esplode in un fragoroso applauso e con essa Mussi (che alla fine verrà calorosamente abbracciato da Fassino). Chiarito anche questo passaggio la Quercia si può finalmente concentrare sulla sua missione: governare. Restano sullo sfondo le vicende di questi giorni, gli attacchi strumentali al «primo partito italiano», gli ultimi trucchi «di un giocatore che alza la posta perché non ha in mano le carte per vincere». Fassino avverte il premier: «Sappia che lo lasceremo solo nel delirio delle sue accuse». Ora basta, è il tempo del programma e del lavoro. Come sottolinea anche il saluto finale pronunciato da Fassino davanti all'assemblea: «Grazie, buon lavoro e buona vittoria». La musica riempie il Palafiera, tutti cantano e battono le mani. Fassino «il sensibile», si commuove ancora una volta.

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