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Rinviato alle Camere il testo che vieta il ricorso dopo il proscioglimento

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.Le modifiche introdotte dalla legge sulla inappellabilità «generano un'evidente mutazione delle funzioni di Corte di Cassazione, da giudice di legittimità a giudice di merito, in palese contrasto con quanto stabilito dall'art. 111 della Costituzione», ha scritto Ciampi nel messaggio alle Camere con il quale ha rinviato la legge sulla inappellabilita. Inoltre la legge approvata, ha rilevato ancora il presidente della Repubblica, crea «delle asimmetrie tra accusa e difesa» e le posizioni delle parti nel processo assumono «una condizione di disparità che supera quella compatibile con la diversità delle funzioni svolte dalle parti stesse nel processo». Nel messaggio del presidente Ciampi si sottolinea anche che vi è disparità anche tra l'imputato e la parte lesa, cioè «la vittima del reato costituitosi parte civile» che è a tutti gli effetti «parte del processo». La legge, rileva ancora il presidente, «provocherà un insostenibile aggravio di lavoro con allungamento certo dei tempi del processo». E infine vi è rischio che la legge sull'inappellabilità possa recare «un vulnus al precetto costituzionale del buon andamento dell'amministrazione applicabile, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, anche agli organi dell'amministrazione della giustizia». Ma che cosa prevede la legge? Il principio ispiratore è semplice: sono inappellabili le sentenze di proscioglimento. È questo il nucleo centrale della cosiddetta «legge Pecorella», approvata definitivamente dal Senato il 12 gennaio. Casi di appello. La nuova formulazione dell'articolo 593 stabilisce che salvo casi specifici «il pm e l'imputato possono appellare contro le sentenze di condanna». Appello vietato per i pm in caso di sentenze che, al termine di giudizio di primo grado, abbiano stabilito l'assoluzione o il proscioglimento (anche per improcedibilità, prescrizione e amnistia) dell'imputato. Contro le sentenze di assoluzione e proscioglimento i pm, ma al contempo anche le parti offese, potranno ricorrere, per vizi di legittimità, alla Corte di Cassazione. Coloro che si costituiscono parte offesa in un giudizio avranno così solo due gradi di impugnazione per i procedimenti penali e non tre, come nel giudizio civile. Gli appelli proposti prima dell'entrata in vigore di queste nuove norme si convertono automaticamente in ricorsi per Cassazione, a cui si potranno presentare, entro 60 giorni, nuovi motivi aggiuntivi. Parziale assoluzioni. Ai pm viene data l'opportunità di ricorrere contro le sentenze di parziale assoluzione nel caso in cui, durante il giudizio di primo grado un imputato, accusato di due distinti reati, sia stato assolto per l'uno e condannato per l'altro. Il ricorso in Cassazione del pm, in questo caso, si riconverte in appello. Ricorso in Cassazione. La legge Pecorella amplia inoltre i motivi di ricorso in Cassazione: la modifica dell'articolo 606 del codice di procedura penale, in virtù delle necessarie norme di coordinamento rispetto al nuovo principio introdotto, fa sì che ai supremi giudici si possa ricorrere anche per una «mancata assunzione di una prova decisiva quando la parte ne ha fatto richiesta, sempre che la stessa fosse ammissibile», per la sola contraddittorietà della motivazione della sentenza di appello oltre che per la manifesta illogicità di essa. Archiviazione. Norme particolari riguardano l'archiviazione: un nuovo comma inserito nell'articolo 405 del cpp prevede l'obbligo per il pm, al termine delle indagini, di formulare richiesta di archiviazione quando la Corte di cassazione si è pronunciata in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e «non sono stati acquisiti successivamente ulteriori elementi a carico della persona sottoposta alle indagini».

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