Craxi, i socialisti lo ricordano divisi
Al suo funerale, a Tunisi, sembrò che il miracolo della riunificazione socialista fosse a portata di mano. Nella grande navata del duomo c'erano praticamente tutti gli ex dirigenti del Psi, De Michelis accanto a Claudio Martelli, e tantissimi militanti che avevano ritrovato la forza di mostrarsi con il garofano rosso al bavero. C'era una gran voglia di dimenticare i vecchi rancori, rancido lascito della diaspora, dietro gli occhi arrossati e il ritmare del nome di «Bettino». Con qualche difficoltà, anche la frattura con l'altro grande partito della sinistra storica, l'ex Pci, sembrava un pò meno profonda. Massimo D'Alema, presidente del Consiglio, aveva mandato Marco Minniti a rappresentarlo al funerale: un gesto significativo che, sia pure con notevole fatica, molti dei socialisti lì presenti sembrarono cogliere. Anche se umanamente si considerava più vicino Silvio Berlusconi, venuto personalmente in Tunisia per l'ultimo addio all'amico che lo aveva difeso in momenti cruciali per le sue imprese. Passati sei anni, le speranze di quel giorno sembrano del tutto svanite. Per ricordarlo sono state fatte ben tre manifestazioni, in tre città diverse. La figlia Stefania ha scelto Milano, la città del padre, in cui aveva mosso i primi passi in politica; quella «Milano da bere» che ha rappresentato il simbolo del socialismo craxiano, ma che nella storia della sinistra italiana è stata sempre la capitale del riformismo, fin dai tempi di Filippo Turati. Il figlio Bobo ha preferito Hammamet, dove il padre ha vissuto gli ultimi, tristissimi anni, e dove le sue spoglie riposano in un piccolo cimitero di fronte al mare. Gianni De Michelis è rimasto a Roma, a due passi da Montecitorio, sì per ricordare, ma soprattutto per fare dell'anniversario un'occasione per parlare dell'oggi, riattualizzando un celebre discorso di Bettino Craxi alla Camera, quando il leader del Psi colse gli scricchiolii del sistema sotto l'urto di Tangentopoli e tentò di trovare una via di uscita rilanciando le riforme istituzionali, appellandosi al Pds e ai repubblicani perchè dessero il loro contributo alla transizione, e sfidando tutti ad affrontare la questione del finanziamento dei partiti partendo da un dato: tutti, senza eccezioni, avevano fatto ricorso a metodi illeciti per far fronte al costo della politica. De Michelis trova in questo l'attualità dell'impostazione craxiana: la soluzione di problemi di questa portata non possono essere lasciati alla magistratura, ma esigono una risposta politica, altrimenti è il sistema democratico che va in crisi. Ed è questo il pericolo che vede in «bancopoli». Non è una questione etica, ma un problema politico. E per superarla occorre trovare nuove regole così da segnare i confini tra comportamenti leciti ed illeciti, per rendere trasparente il rapporto tra politica ed economia: «questione sempre esistita e che non deve essere considerata scandalosa». Non c'è spirito di rivalsa nelle parole di De Michelis, il quale assicura che non sta aspettando di togliersi la soddisfazione di vedere i leader della Quercia sulla stessa graticola che toccò a Craxi. E non guarda solo a sinistra: il problema è di sistema - insiste - e viene da lontano. Dalla svalutazione della lira - puntualizza - decisa nel settembre del '92 dall'allora premier Giuliano Amato.