Prodi, leader in ostaggio di Ds e Margherita
Il Professore prima accelera sul partito democratico poi è costretto a fare marcia indietro
Il partito democratico si farà, ma non ora anche se, la riunione di lunedì, ha già fissato «paletti molto precisi» per ciò che verrà. Una magra consolazione per Romano Prodi che sembra essere il vero sconfitto dell'intera vicenda. Il Professore, infatti, ha dovuto frenare decisamente davanti al muro issato da Margherita e Ds che non ne hanno voluto sapere di dare il via libera ai suoi desideri (il partito democratico già pronto per le prossime politiche). Così Prodi, pur di evitare una spaccatura insanabile si è dovuto accontentare di «quel che si poteva fare nell'attuale situazione politica, a ridosso delle elezioni». Che tradotto in parole povere significa: liste separate al Senato per Ds e Margherita (anche se i due partiti avranno nel loro simbolo un richiamo al logo dell'Ulivo), nessun passo indietro sul partito democratico, decisione sui gruppi unici in Parlamento per la prossima legislatura già il 29 gennaio (data dello scioglimento delle Camere). «Sono scelte irreversibili», ha osservato il Professore, aggiungendo che è stato ritrovato lo spirito delle primarie e che il nuovo soggetto partirà subito dopo le elezioni. Ma alle parole di Prodi fanno da contraltare i fatti: anche stavolta il designato leader del centrosinistra ha dovuto piegare la testa di fronte allo stop dei principali partiti della coalizione. Ancora una volta, insomma, la volontà del Professore è passata in secondo piano anche se, alcuni partecipanti al vertice di lunedì, giurano che il tutto è stato deciso pacatamente, senza momenti di eccessiva tensione. Pacatezza data, probabilmente, dal fatto che sarebbero state rinviate le questioni relative ai capilista e alle candidature. Il Professore, infatti, vorrebbe per lui quindici-venti deputati e una decina di senatori (al netto degli ulivisti della Margherita, ma comprendendo una serie di personalità tra cui Giuliano Amato e la Sbarbati), Ds e Margherita vorrebbero concedere di meno. Chissà se stavolta, il «leader minimo» del centrosinistra riuscirà a farsi valere.