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di GAETANO PEDULLÀ UNA VOLTA non era come oggi; i partiti potevano «tifare» liberamente per le scalate finanziarie più gradite.

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Una volta, appunto. E a ricordarcelo, quasi con un pizzico di nostalgia, è uno che di scalate se ne intende: Roberto Colaninno. Sì, proprio lui, il protagonista della «madre di tutte le Opa, la conquista della Telecom privatizzata dal governo D'Alema e finita nelle mani della famiglia Agnelli grazie a una quota di appena 0,3% del capitale. Colaninno ripercorre con la memoria quei giorni di tempesta, quando solo i «capitani coraggiosi» potevano pensare di prendere il largo in un mercato dei capitali bloccato dai salotti buoni della finanza nazionale. E nel libro intervista «Primo tempo», realizzato con il vice direttore dell'Unità Rinaldo Gianola, vengono fuori così una serie di particolari capaci di riabilitare in un colpo solo i vari Fiorani, Consorte e Fazio. Di casa a Palazzo Chigi. Altro che informazioni privilegiate: Prima ancora di annunciare al mercato la scalata Telecom (l'offerta fu lanciata il 21 febbraio del 1999) Colaninno macinava le suole delle scarpe facendo avanti e indietro con Palazzo Chigi (inquilino D'Alema), con il ministero dell'Industria (guidato da Pierluigi Bersani), con il ministero delle Telecomunicazioni (gestito da Salvatore Cardinale) e con il Tesoro, dove però ad attendere «il ragioniere» non c'era il ministro Carlo Azeglio Ciampi, bensì il direttore generale (ora Governatore di Bankitalia) Mario Draghi. Da non credersi, vero? Eppure è tutto scritto nero su bianco, e seguenti del volume (edito da Rizzoli) che da ieri è in tutte le librerie d'Italia. D'altra parte, fino al recente crollo delle scalate di Fiorani sull'Antonveneta e di Consorte sulla Banca nazionale del lavoro, preannunciare le grandi operazioni finanziarie alle istituzioni più coinvolte e ai parlamentari amici era considerato un fatto naturale, ovvio, scontato. Per questo Colaninno ci rivela a cuor leggero i suoi appuntamenti nella sede del governo, con diversi giorni di anticipo rispetto all'operazione che - tra l'altro - si dovette far partire prima del previsto in quanto l'amministratore delegato di Telecom, Franco Bernabè, in qualche modo aveva già saputo dell'Opa e stava preparando un Cda per blindare il controllo della società telefonica. Ma erano altri tempi. Oggi Fazio, per aver anticipato a Fiorani l'autorizzazione all'Opa su Antonveneta con una telefonata nel cuore della notte (e dunque a mercati chiusi), ha perso Palazzo Koch e probabilmente dovrà affrontare un processo. All'epoca, invece, le notizie sulle scalate finanziarie potevano circolare tranquillamente con giorni di anticipo. Tanto quanto basta, a voler pensar male, per trarre profitti milionari da queste informazioni. Il silenzio della Consob. Certo, si potrà dire: se avessero saputo le autorità di vigilanza, allora qualcosa sarebbe certamente cambiato. E invece no, ci conferma - dello stesso libro - un Colaninno sempre più sorprendente. Il progetto fu annunciato - con tre giorni d'anticipo rispetto al mercato - al presidente della Consob Luigi Spaventa, che si guardò bene dal sospendere il titolo dalle contrattazioni di Borsa. E anzi espresse «soddisfazione» per un'operazione così importante per l'Italia e congedò il ragioniere bresciano raccomandando «il rispetto delle nuove leggi e l'impegno alla trasparenza verso il mercato». Ma questa comunicazione non arrivò a tutti allo stesso modo. I risparmiatori seppero del progetto solo diversi giorni dopo rispetto ai leader di partito seduti sulle poltrone del governo. Le perplessità di Ciampi. Forse l'unico che avrebbe dovuto sapere dell'operazione Telecom prima di tutti, se no altro perché ne deteneva il controllo attraverso la golden share, era il ministro del Tesoro dell'epoca, Carlo Azeglio Ciampi. E invece proprio Ciampi fu messo al corrente solo a giochi fatti. Racconta Colaninno: Con Ciampi ci fu un incontro solo dopo il lancio dell'offerta. «Si mostrò perplesso - continua il finanziere bresciano - abbastanza incredulo della possibilità che Olivetti fosse in g

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