Cav-Bertinotti I due opposti che si «amano»
Lunedì a «Otto e mezzo» da Giuliano Ferrara il premier, che era solo all'inizio della sua cavalcata nelle trasmissioni televisive di tutte le reti e di tutti i generi, l'aveva detto: «Sono molto contento: mercoledì a "Porta a Porta" mi confronterò con Bertinotti, che non solo è stato l'unico ad accettare la sfida di incontrarmi, ma poi in fondo è il vero leader del centrosinistra, sarà lui a imporre la sua linea radicale a Prodi». Ma ieri nel salotto accogliente di Vespa non ce l'ha fatta il leader di Forza Italia a far passare il segretario di Rifondazione come un pericoloso comunista che abolirà la proprietà privata alla prima mossa di governo. Bertinotti è riuscito piuttosto a prendere per sé la parte del buono. Si è accreditato come difensore dei diritti dei poveri e dei lavoratori dipendenti che soffrono ogni fine mese, mentre a Berlusconi ha lasciato la parte di quello che difende i ricchi che godono delle loro rendite. Il premier ha cercato di sottrarsi allo schema: ha ricordato gli aumenti delle pensioni minime, le assunzioni dei precari nella scuola, le riforme del mercato del lavoro. Difficile dire se sia stato convincente. Certo è che, per la prima volta, Berlusconi ha accettato di discutere di un aumento della tassazione delle rendite. E dire che l'esito sembrava scontato. Berlusconi arriva carico e puntuale, le strade del centro di Roma sono sgombre per le autoblù, e fuori della sede Rai in via Teulada c'è tanto spazio, i vigili urbani hanno fatto portare via le macchine parcheggiate male (non è chiaro se per motivi di sicurezza o solo per rassicurare il premier che il paese funziona e le regole vengono rispettate). Con Bertinotti si salutano con cordialità. Berlusconi cerca subito di essere simpatico e a Vespa che chiede cosa li divide il premier parla di ciò che li unisce: la passione per il calcio e per il Milan. È proprio lui: il generoso, il gentile con tutti quando tira fuori un regalo per Bertinotti. Un dono prezioso, «ma solo per i collezionisti» - precisa Berlusconi - l'orologio che festeggia il centenario della squadra milanese. Lo offre al segretario di Rifondazione che accetta con grazia. Ma mette subito le cose in chiaro, lavora a stabilire i ruoli, se non le regole del gioco: «Quando ero bambino a Milano la squadra più popolare, con un pubblico di lavoratori e proletari, era il Milan mentre l'Inter era quella dei bauscia, i ricchi. Io non potevo fin da allora che stare dalla parte dei più poveri e quindi del Milan». Della serie: non ci confondiamo, io sono una cosa tu, proprio un'altra. Ma Berlusconi non si gela, è ancora sul conciliante spinto. Si dice contento di incontrare il leader di Rifondazione perché tra i dirigenti dell'opposizione è «la persona più gentile, la più chiara e soprattutto l'unico che non mi ha mai insultato, mi ha sempre rispettato da avversario leale». Chiude il saluto dicendo certo siamo diversi: «Io sono liberale, lui è socialista». Addirittura non parla di comunismo. Anche se il titolo scelto da Vespa per il primo tempo dell'incontro è proprio «il liberale e il comunista». Ma allora è proprio il leader di Rifondazione che senza paura anzi con orgoglio tira fuori l'argomento e mette fine alle smancerie. Parte in quarta. Dopo un obbligato — «È veramente un piacere incontrare Berlusconi» — comincia: «È inaccettabile l'uso dell'aggettivo comunista come un'aggressione verbale che il premier fa in continuazione». Berlusconi quasi spiazzato, non può che accettare la sfida. Da lì comincia una discussione dai toni ora dotti (con Bertinotti che cita San Paolo) a volte pesanti (quando Berlusconi nomina i cento milioni di morti del comunismo), ma che Bertinotti affronta con scioltezza e ne esce illeso. Anzi riesce pure a guadagnare punti con il suo beau geste di turno: offre a Berlusconi una piccola edizione della Costituzione che ha la prima firma di Umberto Terracini, il leader comunista che nel '48 era presidente dell'Assemblea costituente. Il libro serve a dire: ecco cosa hanno fatto