di PAOLO ZAPPITELLI «FASSINO non si comporti come Berlusconi, la pianti sì, ma di gridare al complotto ...
Si prenda piuttosto le sue responsabilità e riconosca i suoi errori di valutazione». Per Antonio Di Pietro quella di ieri doveva essere una giornata dedicata allo shopping, lontana dai rumori della politica. Ma l'intervista di Piero Fassino a La Repubblica ha avuto l'effetto di una scossa elettrica. E così, quando risponde al cellulare, l'ex pubblico ministero di Mani Pulite fa fatica a contenersi. Per lui che ha combattuto quel sistema e che per anni ha dovuto ascoltare un'intera classe politica che gridava al complotto, ascoltare la stessa difesa da parte di un alleato come Piero Fassino è qualcosa di inaccettabile. «Mi sorprende che un uomo come lui possa rifugiarsi dietro l'accusa del complotto o del vittimismo. No, è una cosa che davvero mi lascia sbigottito». Secondo lei che cosa dovrebbe fare Fassino? «Dovrebbe rivendicare con forza il proprio ruolo e riconoscere gli errori di valutazione. Presentarsi alla direzione del partito di mercoledì e rassegnare le dimissioni. Che ovviamente verrebbero respinte. Ma formalmente è un passaggio che deve fare». Qual è l'errore di valutazione che rimprovera al segretario dei Ds? «Sono dieci anni che a parole tutta la classe politica condanna il consociativismo. Ma invece di prendere provvedimenti ogni volta che un politico ne rimane invischiato si rifugia nella teoria del complotto. Mi pare davvero poco cosa. Specialmente se viene usata da una persona come Piero Fassino che è alla guida di un partito importantissimo come i Ds. Lo lasci fare al socialista o al "forzitaliota" di turno. Lui no, non si "berlusconeggi"». Non le sembra che ci siano paralleli inquietanti con i comportamenti di Tangentopoli? Prima si grida al complotto, poi ci si accanisce contro i giornalisti che pubblicano verbali e intercettazioni. «È vero, mi ha lasciato sbigottito anche il comportamento di D'Alema. Il problema di fondo è che non bisogna prendersela con chi dà le notizie ma con chi le ha provocate. Ecco, io vorrei vedere lo stesso accanimento, la stessa rabbia, anche nei confronti di Consorte. Ma la stessa cosa, è bene dirlo, dovrebbe fare il centrodestra nei confronti di persone come Aldo Brancher, condannato e poi spedito da Forza Italia in Parlamento». Lei ha più volte ripetuto che bisogna attenersi a un codice etico e non candidare chi ha avuto guai con la giustizia. Vale anche per i Ds? «Certo. Comuni, Regioni, Province, non solo il Parlamento sono pieni di persone che hanno avuto condanne. Fassino dovrebbe dire non solo che è necessaria una legge per questo ma si dovrebbe impegnare a garantire che a coloro che hanno problemi giudiziari sarà impedito sia di candidarsi sia di assumere ruoli istituzionali». Secondo lei il «tifo» di Fassino nella vicenda Unipol è stato un semplice peccato di ingenuità o c'è qualcosa di più grave? «Quando si ha a che fare con questo magma è difficile poi riuscire a starne fuori. Tutti possono mettere la mano sul fuoco sull'onestà di Fassino. Io però dico che è stato usato come parte nobile di un processo perverso, più che raggirato o peggio ancora che sia stato connivente. È un po' quello che è successo con Fazio: se Fiorani diceva di avere un rapporto privilegiato con il Governatore della Banca d'Italia in un certo senso legittimava anche tutti quelli che gli stavano intorno». In molti dicono che questa diventerà una nuova Tangentopoli. È così? «Certo, è la prosecuzione di Mani Pulite. Ma rispetto alla mia indagine è più difficile perché sono più difficili i reati e perché i magistrati hanno meno strumenti». Si spieghi meglio «C'è un clima diverso, le inchieste sono appena iniziate e già tutti vogliono andare in aula per cambiare la legge sulle intercettazioni, parlano di di accanimento giudiziario. E poi D'Alema che dice che in fondo si tratta solo di evasione fiscale e così hanno fatto tutti. E allora io che vado a dire a Berlusconi?».