Ds, la vera guerra è sulle poltrone
Ma sul campo, in questo caso il Botteghino, già si contano morti e feriti. La battaglia interna e soprattutto l'assalto subito in queste settimane da poteri forti, Rutelli, Confindustria e poi anche da sinistra, dalla sinistra interna e finanche da Berlusconi non è stata indolore. Appena qualche settimane fa all'interno Quercia era in atto una serrata discussione. E l'ordine del giorno era uno solo: la squadra di governo. Chi entrerà nell'eventuale esecutivo guidato da Romano Prodi se l'Unione vincerà le elezioni il 9 aprile prossimo? E se all'inizio di dicembre le cose sembravano quasi fatte, ora la partita è riaperta. Si ricominicia, tutto da rifare. Come un grande risiko. Se il Professore con i suoi fedelissimi disegna un team con 25 giocatori, ai Ds ne dovrebbero spettare 8 compreso un vicepremier. Piero Fassino già si vedeva accomodato nella poltrona di pelle nera della Farnesina oggi occupata da Gianfranco Fini. I titoli, il segretario dei Ds, li ha tutti. È stato sottosegretario agli Esteri con delega sui Balcani nel primo governo Prodi. Poi è stato ministro del Commercio estero, nel difficile momento dell'esplodere del movimento no global in quel di Seattle. Era molto amato dagli imprenditori. Ma adesso, nella Margherita gira un'eloquente battuta: «Come potrebbe Fassino difendere le imprese italiane? E quando gli capiterà il dossier Telecom Brazil di proprietà del Tronchetti Provera azionista del Corriere della Sera che attacca tutti i giorni Piero? Che farà l'eventuale ministro degli Esteri?». E così, le quotazioni di Fassino alla Farnesina sembrano in caduta libera. Al suo posto sembrano salire quelle di un ministro tecnico, come Sergio Romano, editorialista proprio nel giornale di via Solferino, ed ex ambasciatore: dismise la feluca dopo una dura polemica con De Mita. Scriocchiola lo scranno più alto di Montecitorio, quello oggi di Pier Ferdinando Casini e già prenotato da tempo da Massimo D'Alema. L'accusa che gli viene mossa adesso è di non essere più nè superpartes, come si dovrebbe convenire ad un aspirante presidente della Camera, nè di avere un profilo da statista. Al suo posto sembra crescere Fausto Bertinotti, che ha già detto chiaro e tondo che non entrerà nell'eventuale esecutivo. In caduta libera Pier Luigi Bersani. Primo, perché bolognese e i bolognesi sono in discesa anche all'interno del partito: figurarsi fuori. Secondo, perché detestato da Diego Della Valle, che, come dimostrato nelle ultime settimane, conta negli assetti interni. Terzo, la sua nomina a ministro delle Attività Produttive è messa a rischio dal fatto che Bersani non è stato indifferente a due operazioni: l'acquisto da parte provincia di Milano delle quote di Gavio nell'autostrada Serravalle e nella scalata Unipol-Bnl. Vede allontanarsi il ministero della Difesa un ds competente, Marco Minniti. La sua amicizia con D'Alema può risultargli fatale in questa fase. Come rischiano anche due donne in ascesa e molto in sintonia come il segretario: Marina Sereni, responsabile dell'organizzazione, e Betrice Magnolfi, responsabile della pubblica amministrazione. In compenso sale Giovanna Melandri, che era finita nel dimenticatoio: mai amata da Prodi e consorte (nel senso di moglie del Professore) sembra rientrare in pista. Torna in auge Anna Finocchiaro, responsabile della Giustizia che potrebbe diventare Guardasigilli. Pareva anche archiviato anche Franco Bassanini, che invece rischia di tornare in pista. E si scalda a bordo campo anche Cesare Salvi, che era stato abbandonato in panchina in attesa di essere spedito in tribuna. Fassino, natuarlmente, non ci sta e prepara la controffensiva. il primo assaggio già s'è visto nelle parole di D'Alema di ieri: «Non siamo colpevoli di nulla. Non avevamo il compito di vigilare sulle amicizie di Consorte, nè sulle sue operazioni finanziarie. Rifiutiamo l'idea grottesca che i Ds siano l'epicentro di una nuova tangentopoli». Il presidente dei Ds raccoglie l'invito di Prodiuna proposta: «Quand