I pm riportano la pace tra Prodi e D'Alema
In serata il passo indietro e la telefonata «rasserenante» al leader dell'Unione
E per eleggere Romano Prodi quale leader indiscusso della coalizione. Sì perché dopo giorni di accuse reciproche ieri è finalmente arrivato il gesto distensivo che tutti aspettavano: la telefonata «rasserenante» tra il leader dell'Unione Romano Prodi e i vertici dei Ds Massimo D'Alema e Piero Fassino. Per la verità, mentre Fassino ha ricevuto la telefonata di Prodi al suo rientro dal Messico, è stato D'Alema a chiamare il Professore dopo che in mattinata Repubblica aveva pubblicato una serie di indiscrezioni che attribuivano a D'Alema propositi bellicosi («Giochiamo con tre punte anche noi, come il Polo. E poi vediamo chi vince...») nei confronti dei suoi alleati. Propositi bellicosi che suonavano come una risposta all'affondo che, mercoledì, Romano Prodi aveva fatto su «politica e affari». Un affondo nel quale non avevano trovato posto parole di solidarietà nei confronti dei Ds. Così, ieri, l'Unione ha vissuto l'ennesimo giorno di pena anche se, almeno per il momento, con lieto fine. La cronaca della giornata ha visto prima D'Alema che sbotta con i suoi e fa capire di non essere disponibile ad allearsi «con chi ci considera criminali». Poi i prodiani che, un pò per marcare la differenza dai Ds un pò per intercettare più voti, fanno sapere di pensare a liste civiche nel nome del Professore, da presentare al Senato in alcune regioni. A questo punto è lo stesso Prodi a smentire: mai pensato ad andare alle elezioni con sue liste. Silvio Sircana, il portavoce del Professore, liquida l'ipotesi come irrealistica: «Non ci pensa affatto». Poco dopo la telefonata risolutiva. Il colloquio prima viene descritto ufficiosamente come «rasserenante» sia dai prodiani che dai Ds; poi l'esito positivo viene anche messo nero su bianco in una nota ufficiale dell'ufficio stampa della Quercia. Una conversazione, si legge nella nota, «utile e cordiale, che ha chiarito le rispettive posizioni e diradato ogni ombra di presunti contrasti all'interno dell'Ulivo, in un rinnovato impegno della coalizione di centrosinistra per battere la Casa delle libertà nelle elezioni della prossima primavera». Ma, dietro l'idillio serale (che ancora non si sa quanto durerà), si nasconde in realtà una giornata faticosa segnata da momenti di altissima tensione tra Prodi e i Ds. Il Professore, infatti, ha dovuto sudare le sette camicie per convincere D'Alema che la lettera alla Stampa non aveva un intento polemico e che «le vicende di oggi non sono state equiparate a quelle di Tangentopoli». Lettera alla Stampa e polemiche con D'Alema che sono state anche al centro di un colloquio tra il leader dell'Unione e Francesco Rutelli. Intanto, per la prossima settimana, probabilmente prima dell'appuntamento della direzione Ds di mercoledì, Prodi ha fissato un vertice degli alleati per fare il punto sulla situazione. Insomma, dopo settimane di attacchi bassi, le cose sembrano ormai aver imboccato la giusta strada. Sarà stata la paura di una nuova Tangentopoli? Probabilmente sì. Certo è che, oggi, tutti hanno deciso di dare il loro contributo alla causa. Succede così che un fedelissimo di Prodi come Franco Monaco rilanci addirittura la proposta di un listone unitario non solo alla Camera, ma anche al Senato. Sarebbe, dice, «uno scatto in avanti», per non cadere nella logica «sciagurata» della nuova legge proporzionale. Un'ipotesi che, però, viene vista da Ds e Margherita come fumo negli occhi («non abbiamo bisogno dell'ennesimo partitino», commenta secco l'esponente Dl Giuseppe Fioroni). Così come sembra allontanarsi sempre più l'orizzonte del partito democratico. I Ds temono che, alzando il tono della polemica sul caso Unipol, li si voglia indebolire in modo che abbiano meno peso nel nuovo soggetto politico. E Francesco Rutelli, su Europa, ieri, ha rafforzato le preoccupazioni diessine quando ha scritto che «non si vince con una coalizione di sinistra-centro» e ha ricordato che «la storia di sessant'anni di Repubblica ci insegna che la maggioranza degli italiani non