«La Chiesa non impone la verità, la propone»
Sempre, anche di fronte alla sofferenza di una donna che decide di abortire, o al tema dei diritti sollevato dalle coppie gay: la verità della Chiesa è un'altra, ma, dice il cardinal Dionigi Tettamanzi, «la dignità personale è propria di tutti, e ogni persona, qualunque scelta faccia nella vita, chiede di essere rispettata e amata». Anche se ciò «non significa accettazione di certi comportamenti». Ha scelto Ancona, la prima Diocesi in cui fu vescovo, dal 1989 al 1991, l'attuale arcivescovo di Milano per rilanciare un messaggio di speranza - «la speranza è nel Dna dell'uomo, potremmo dire un suo diritto, ed essa è il Signore, morto, risorto e veniente» - e di accoglienza, anche di chi si dice non credente. Anche se, ha osservato, «mi domando chi siano i non credenti. Esistono gli atei? Non do una risposta, salvo che l'uomo è uomo in quanto creato da Dio a sua immagine». Tettamanzi ha svolto la prima relazione del Convegno diocesano «Gesù speranza dell'Uomo», in preparazione del convegno ecclesiale nazionale del 16-20 ottobre a Verona, di cui è presidente del comitato preparatorio. Ad ascoltarlo, nel cinema dei Salesiani, c'erano oltre all'arcivescovo di Ancona Osimo monsignor Edoardo Menichelli e ai sacerdoti della diocesi, un migliaio di fedeli (compreso l'ex governatore Vito D'Ambrosio) pronti a fare non poche domande difficili. Ma Tettamanzi, pur non citando mai esplicitamente temi come l'interruzione volontaria di gravidanza, la procreazione assistita o la pillola abortiva, non si è sottratto. Preoccupato soprattutto di sottolineare l'importanza della testimonianza cristiana di vita vissuta, più significativa delle parole. «Guai - ha detto - se la Chiesa dovesse abdicare alla missione ricevuta di essere maestra, e quindi di annunciare la verità, di mostrare lo splendore, la bellezza e la forza della verità, ma la Chiesa possiede al suo interno anche questa maternità, che la verità non la impone ma la propone». Aiutando i fratelli a uscire dall'«offuscamento della speranza» che sembra segnare il nostro tempo, cogliendo i segni di speranza che «sono comunque tanti» anche oggi, e «sporcandosi le mani. Perché chi spera è impegnato nella storia, e più pienamente nel servire gli ultimi, i più soli, le antiche e le nuove povertà che affliggono l'uomo». Lo smarrimento della memoria e dell'eredità cristiane, la difficoltà a vivere la fede in un mondo in cui il progetto di Cristo è sfidato e minacciato, la paura del futuro, la frammentazione dell'esistenza e un'antropologia che tende a prescindere da Dio, sono - ha detto Tettamanzi citando l'esortazione Ecclesia in Europa di Giovanni Paolo II - gli ostacoli che i singoli e le comunità cristiane devono affrontare. Chiamati a farlo con un'attitudine al dialogo, certi che la laicità, l'appellarsi alla ragione non significa non appellarsi alla fede e alla religiosità. E che se la Carta costituzionale del cristiano è il Vangelo, lo Stato sarà tanto più umano e umanizzante «quanto più saprà aiutare le persone a crescere in libertà e vivere in responsabilità».