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Morto Sospiri, sottosegretario di An

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Nino Sospiri da anni conviveva col nomignolo di «Sandokan», che gli era rimasto addosso per la sua barba sempre curatissima che lo faceva somigliare alla salgariana Tigre di Mompracem, e da qualche mese conduceva l'ultima battaglia contro un tumore che ieri l'ha sconfitto. Il sottosegretario alle infrastrutture del Governo Berlusconi è stato in Abruzzo la bandiera e l'anima del Msi prima e di An poi, e politico di primo piano nel panorama nazionale. Cinquantott'anni, più di due terzi spesi nell'impegno rigorosamente a destra, con una dedizione e una corenza riconosciute anche dagli avversari più acerrimi, dentro e fuori il partito. Rigoroso alle soglie dell'inflessibilità, ma anche uomo di una correttezza d'altri tempi, la cui parola o la cui stretta di mano valevano quanto un contratto. Nel buonismo che accompagna immmancabilmente lo scomparsa di qualcuno, il coro attorno a Nino Sospiri è sincero e univoco, qualità che non sempre vanno a braccetto con i compromessi e le furbizie della politica. Un mondo del quale Sospiri faceva parte da giovanissimo: a 16 anni l'iscrizione al Msi, la trafila di esperienza e maturazione, un diploma di perito chimico in tasca; nel '77 l'ingresso nel Comitato centrale del Msi, due anni dopo l'elezione alla Camera dei deputati (dove rimane ininterrottamente), quindi l'approdo alla Direzione nazionale del partito. In Abruzzo è lui l'uomo della destra dal 1984, è sempre lui a gestire vittorie e sconfitte, anche quelle più dolorose, senza mai prendere le distanze dalle situazioni scomode e dal frustrante ruolo dell'oppositore. Dai banchi del Consiglio comunale di Pescara, nell'epoca pre-tangentopoli, era lui a tuonare contro il malcostume e il malaffare; al momento del ricambio, la fascia biancazzurra di presidente, per ruolo e consensi, era andata a lui. Aveva gestito il suo ruolo da uomo di partito ma non di parte. Aveva guidato la riscossa del centrodestra con stile e autorevolezza dopo aver traghettato il Msi in An secondo il disegno di Gianfranco Fini, fedele al compito di segretario nazionale amministrativo e al suo credo politico, ma coerente con se stesso aveva voluto mantenere il profilo del «no» che era poi costato nel 2003 a Carlo Masci la poltrona di sindaco di Pescara spianando la strada al rivale di centrosinistra Luciano D'Alfonso. Nato a Penne, città alle pendici dell'Appennino, Sospiri amava le montagne abruzzesi almeno quanto il mare della sua città d'elezione. Di fronte ai problemi della gente e del suo Abruzzo non conosceva colori o schieramenti. Il suo ultimo successo era stato proprio quello di elevare Pescara a Direzione marittima, forte dell'incarico di sottosegretario ottenuto sulla scia di oltre 40.000 voti: quattro volte quelli che per la prima volta l'avevano portato a fare il deputato. Nell'epoca dell'apparire e dell'ostentazione aveva mantenuto un riserbo che lo poneva fuori dal coro: nulla o quasi nulla trapelava sulla sua famiglia (la moglie Concetta e le figlie Arianna e Lavinia), un fatto privato che doveva rimanere tale. Un fatto privato doveva essere anche la malattia, ma l'uomo pubblico stavolta non poteva più stendere la sua cortina di riservatezza. Lui ci scherzava sopra, quasi non lo riguardasse, e continuava a vivere come aveva sempre fatto. La voce della tigre, negli ultimi tempi, era la caricatura di quel suo ruggito caratteristico, il lampo negli occhi si era offuscato. Nel periodo natalizio aveva voluto assieme alla moglie scegliere gli ultimi mobili dell'arredamento della sua casa di Spoltore, forse per non lasciare come al solito nulla di incompiuto. Solo qualche giorno fa, a chi gli aveva chiesto di poter scattare una fotografia, aveva risposto con la consueta aria sorniona: «Bene, immortalatemi». E aveva volutamente calcato il tono su quell'«immortalatemi». Sandokan aveva forse rinfoderato la sciabola con la consapevolezza che si può uscire di scena senza vincere l'ultima battaglia, ma

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