Ciampi, un'uscita in punta di piedi
Due passaggi chiave nel discorso del presidente: imparzialità e dignità. Accenno indiretto alle banche
Come un italiano che si rivolge a ogni altro italiano». Nel messaggio radiotelevisivo di fine anno - l'ultimo, il più breve, il più commosso e il meno «politico» del suo Settennato, trasmesso l'altra sera a reti unificate da radio e televisioni (quasi 13 milioni di telespettatori, ben 77,23% di share) - Carlo Azeglio Ciampi ha preso commiato dagli italiani formulando gli auguri di buon anno con la voce rotta e gli occhi lucidi. Un discorso che ha suscitato molti consensi dal mondo politico in entrambi gli schieramenti, con qualche distinguo del Prc e della Lega. «Ho iniziato senza un preciso disegno, nè esperienza di contatti diretti della gente, perciò mi sono presentato a voi così come sono». «Ho vissuto il mandato di presidente della Repubblica - ha detto - come un dovere, una missione», facendomi guidare da due parole chiave: l'imparzialità e il senso della dignità. Dallo studio alla Palazzina, con accanto il testo della Costituzione e il Tricolore, il presidente ha guardato indietro, a questi sei anni e mezzo. Ha pensato alle sue decisioni più delicate, quelle che hanno scontentato ora l'una, ora l'altra parte dello schieramento politico, e ha detto: «Mi sono proposto di esercitare imparzialmente il mio mandato e ho costantemente rivolto a tutti l'esortazione al dialogo, al confronto leale, aperto, reciprocamente rispettoso. Come presidente ho voluto esprimere il senso della dignità di cittadino di una libera democrazia: dignità che è consapevolezza delle responsabilità del proprio Stato, dei propri diritti, ma ancor più dei propri doveri». E scandendo bene le parole, Ciampi ha sottolineato la seconda parte della frase. C'è forse qui un riferimento alla vicenda politico-giudiziaria che ha portato alle dimissioni di Antonio Fazio? Forse, se c'è è molto indiretto: è soprattutto un richiamo di carattere generale, nello spirito del discorso. Giudicate pure il merito, sembra dire Ciampi, ma sappiate che dietro ogni mia decisione c'è stato sempre e soltanto questo spirito e la coerenza con gli impegni assunti il 18 maggio 1999 al momento del giuramento, che «più volte mi sono riletto». Ho parlato sempre, ha aggiunto, con sincerità e coerenza. «Vi ho parlato di ciò che si era sedimentato in me stesso sin dalla gioventù, vissuta in un periodo tormentato per la nostra Patria, e poi nei lunghi anni in cui mi è stato dato di servire lo Stato; e al tempo stesso di vivere una normale, serena vita di una comune famiglia italiana. E voi mi avete contraccambiato - ha aggiunto, con voce commossa - mi avete dato molto di più di quanto io vi abbia dato, di quanto potessi darvi». Senza citarli, Ciampi ha però richiamato il contenuto politico di tutti i suoi appelli di questi anni: al dialogo politico, alle larghe intese sulle riforme, alla coesione sociale, a non indebolire l'unità nazionale. Lo ha fatto dicendo che le sue iniziative sono tutte legate da «una ispirazione e un filo conduttore». Su questi temi, ha detto con semplicità, «stasera non intendo tornare». Insomma, vale il già detto e, da ultimo, il discorso del 20 dicembre scorso alle alte cariche dello Stato, in cui ha manifestato «rammarico» per i suoi appelli «non sempre ascoltati». Il presidente voleva essere breve (ha parlato 12 minuti e mezzo, tre minuti meno dell'anno scorso). Voleva prendere commiato e fare gli auguri. Così davanti alle telecamere, ha accennato solo gli assiomi del suo pensiero. «L'unità della Patria non è retorica». Dobbiamo sentire l'orgoglio di essere italiani. È una fortuna che l'identità nazionale sia «viva» anche fra gli italiani all'estero.