Padoa Schioppa evoca una legge. Che non esiste
Governatore no; quello viene da fuori perché deve saper parlare ai politici e questo, chi sta in Banca, non deve saperlo nè deve impararlo». Tommaso Padoa-Schioppa, uno che a via Nazionale ha trascorso quasi 30 anni della propria vita, ha ricordato così, ieri sulla prima pagina del Corriere uno degli insegnamenti impartiti nel corso che frequentò a Roma nel 1968 «con la speranza di essere poi assunto come impiegato». Una lezione che, però, non sembra corrispondere affatto alla realtà se si considera che nella tradizione di Bankitalia è vero proprio il contrario: a via Nazionale vige infatti una regola non scritta in base alla quale per i direttori generali dell'istituto il salto verso la poltrona di governatore è quasi obbligato. Del resto, fino al 1928 in Bankitalia era il direttore generale a svolgere le funzioni del governatore. Poche le eccezioni. Da quando la carica di governatore è stata introdotta, tutti coloro che l'hanno rivestita sono stati in precedenza direttori generali, fatta eccezione per Luigi Einaudi, per Fazio (che da vicedirettore divenne governatore) e per Mario Draghi, fresco di nomina al termine di una fase di straordinarie turbolenze abbattutesi sull'istituto. Insomma tra i nove governatori succedutisi dal 1928, solo i tre appena citati non erano stati direttori generali prima di assumere l'incarico principale di governatore. Tale è l'importanza della regola non scritta che nel 1959 Guido Carli, destinato ad assumere la guida di Bankitalia, fu fatto entrare in via Nazionale con un incarico da direttore generale, così da consentirgli di compiere l'ideale apprendistato per operare da governatore. Un cammino che ora potrebbe essere ripercorso da Vittorio Grilli, penalizzato dal fattore anagrafico nella competizione con Draghi, ma ben posizionato nella partita che vede in palio il titolo di direttore generale.