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Con Mieli è diventato il «coagulante» del mondo economico, laico e riformista che si oppone a Berlusconi

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Banche, politica e Procure Il «Corriere» è un partito

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L'ultimo «colpo» del Corriere della Sera su Silvio Berlusconi indagato per una presunta corruzione di un testimone nel processo All Iberian e in quello sulle tangenti Fininvest è stato l'ulteriore tassello di una strategia iniziata da quando Paolo Mieli ha ripreso per la seconda volta, a dicembre dell'anno scorso, la guida del quotidiano di via Solferino. Una strategia con un obiettivo preciso: diventare come La Repubblica di Scalfari, di cui proprio Mieli, non a caso, fu allievo e collaboratore. Insomma, un giornale che diventa punto di riferimento di una parte politica ma anche e soprattutto un mezzo per creare un nuovo schieramento, più trasversale e più compatto. E capace di scalzare da quel ruolo proprio il quotidiano fondato da Scalfari. Del resto Paolo Mieli, nel «discorso della corona» pronunciato alla redazione quando si è re-insediato, ha fatto capire quale sarebbe stata la nuova linea del giornale: «Saremo equidistanti — disse — ma quando lo decideremo prenderemo delle posizioni ben precise». E la storia del Corriere da quel giorno di dicembre del 2004 a oggi è piena di quelle «prese di posizione» che aveva annunciato Mieli. Una battaglia dietro l'altra, un filo che si snoda coagulando un mondo laico, riformista, che punta a creare un centro trasversale che metta insieme Rutelli e Casini, Linda Lanzillotta e il mondo di «sinistra» che gravita ancora attorno all'«Ultima spiaggia» di Capalbio. Con punti di riferimento stabili nel centrodestra, come Giulio Tremonti, il vicepremier che si smarca pronto a giocare un ruolo, in caso di pareggio tra i Poli, di terzista. E poi c'è il mondo economico, i «poteri forti» del Paese tutti concentrati nel Patto di sindacato della Rcs: Mediobanca e Geronzi, la Fiat e Confindustria guidata da Montezemolo, Diego Della Valle e Banca Intesa di Bazoli (finanza cattolica, Prodi). Un mondo politico-imprenditoriale che ha anche un contatto privilegiato — e non potrebbe, storicamente, essere altrimenti — con la magistratura milanese. Dalla quale riceve informazioni esclusive, dall'avviso di garanzia a Berlusconi nel '94 all'invito a comparire al premier per una presunta corruzione pubblicato ieri. Nell'ultimo anno il giornale-partito di via Solferino ha condotto una serie di battaglie tutte ben mirate. Iniziando da quella a favore della fecondazione assistita, della quale il Corriere della Sera è stato il leader più ancora del rivale Repubblica, per scatenarsi poi, all'inizio dell'estate, contro Ricucci, Fiorani e Unipol per contrastare la scalata proprio a Rcs e ad Antonveneta, e contro Antonio Fazio. Battaglie condotte a colpi di pubblicazioni di verbali, di intercettazioni che hanno fatto da collante per tutto quel mondo politico-imprenditoriale contrario a Berlusconi. E se il leader privilegiato e coccolato resta Francesco Rutelli e la sua «battaglia morale», a farne le spese sono stati e continuano ad essere i Ds. Ne sa qualcosa Massimo D'Alema, bersagliato per un leasing alla Bpl. E ne sa qualcosa Piero Fassino che alla fine è sbottato con un «se Paolo Mieli vuole fare il politico si candidi in qualche partito». Ma Mieli sa bene come comportarsi in questa nuova strada che ha fatto imboccare al suo quotidiano. Ed è la stessa usata da Eugenio Scalfari. Per il quale, del resto non nasconde la sua ammirazione. In un'intervista a Prima Comunicazione, infatti, Mieli ha spiegato così il segreto del successo del giornale-partito voluto dal fondatore di Repubblica: «Una grande saldezza del corpo redazionale, giocando molto allo scoperto». E oggi i suoi colleghi del Corriere sembrano tutti compatti con lui.

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