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L'ultima bufala, il Canaletto non è di Fiorani

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Giovedì sera, la Guardia di Finanza, nel corso di una perquisizione nel caveau della Banca Popolare di Lodi, aveva infatti rinvenuto un dipinto del famoso pittore veneto del valore stimato di 10 milioni di euro. Immediatamente si era diffusa la notizia che il dipinto fosse parte del «tesoretto» dell'ex amministratore delegato della banca lodigiana, Gianpiero Fiorani. In realtà nulla sembrava ricondurre il dipinto a Fiorani. Le cassette di sicurezza in cui era custodito, infatti, erano intestate a terzi. Così, ieri è arrivata, la smentita: «Il Canaletto non è di Fiorani, è mio». Parole di Bruno Bertagnoli, il vero e legittimo proprietario del dipinto. L'uomo, in verità, era già indagato nell'ambito dell'inchiesta sulla scalata ad Antonveneta con le accuse di ricettazione e riciclaggio. Gli investigatori erano giunti a lui dopo che l'uomo aveva eseguito alcune operazioni sospette, in particolare una, con l'ex direttore generale della banca lodigiana, Gianfranco Boni, arrestato e interrogato nei giorni scorsi. Ieri mattina Bertagnoli si è presentato alla procura di Milano accompagnato dai suoi legali. Immediatamente è stato interrogato dal procuratore aggiunto Francesco Greco e dal pubblico ministero Giulia Perrotti. Nel corso dell'interrogatorio Bertagnoli ha subito rivendicato la proprietà del quadro ritrovato, ancora imballato, all'interno della Bpi di Lodi. Bertagnoli ha anche spiegato di aver pagato il quadro un milione e 250 mila euro, mentre una recente perizia lo ha valutato 3 milioni di euro. Dunque, secondo l'uomo, sarebbe esagerata la valutazione di 10 milioni di euro che era stata data subito dopo il ritrovamento del dipinto. Nel frattempo ieri sono emersi nuovi elementi sul rapporto tra Fiorani e l'immobiliarista romano Stafano Ricucci. Secondo l'ex ad di Bpi, infatti, i finanziamenti ottenuti da Ricucci, per la scalata ad Antonveneta, sarebbero derivati da operazioni immobiliari «praticamente inventate». L'ammissione sarebbe contenuta nel verbale di interrogatorio reso da Fiorani il 10 ottobre scorso. Parlando del ruolo di Ricucci, l'ex ad della Banca popolare italiana, ha spiegato che l'immobiliarista romano aveva «acquistato inizialmente azioni Antonveneta con un finanziamento ricevuto da "Garlsson Real Estate" sul conto Bpi Suisse con fideiussione Bpl casa madre». «Fu pianificata - ha spiegato Fiorani - la seguente operazione: Garlsson era società all'epoca non consolidata nel Gruppo, avrebbe aperto un conto presso Bpl Suisse. Poiché quest'ultima non poteva erogare il finanziamento richiesto (una decina di milioni di euro), interveniva la casa madre con una fideiussione». Ed è a questo punto che Fiorani ha detto ai pm, a suo giudizio, il meccanismo con il quale l'immobiliarista romano riuscì ad ottenere il finanziamento dalla Bpi. «Il finanziamento ricevuto era finalizzato all'acquisto di azioni Antonveneta, la fideiussione veniva rilasciata per una operazione immobiliare praticamente inventata. Ero presente in un comitato esecutivo quando fu deliberato il rilascio della fideiussione: dissi in comitato che questa veniva rilasciata per una operazione immobiliare di un gruppo svizzero, ma sapevo perfettamente che sarebbe stato impiegato per l'acquisto di azioni Antonveneta».

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