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D'Alema vittima della sua «ambizione»

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Il leader dei Ds si difende: «Contro di noi attacco politico. Vogliono minare la nostra credibilità»

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Quando, nel 1998, D'Alema raccolse dalle mani di Romano Prodi il testimone del governo, certo non immaginava che sarebbe finita così. Primo presidente del Consiglio «post-comunista» nella storia d'Italia si apprestava a lanciare una nuova grande stagione. Accanto a lui nascevano i Clinton, i Blair e il riformismo socialista sembrava il futuro. A distanza di 7 anni tutto è cambiato. D'Alema era l'uomo della Bicamerale, quello che aveva relegato Romano Prodi in Europa lontano dalle luci della ribalta. Oggi è il suo principale sponsor. Lo ha rilanciato come leader dell'Unione, ne è diventato il suo più fedele alleato, e ha contributo, in maniera determinante alla vittoria del Professore alle primarie. Difficile pensare, infatti, che, senza l'apporto dei Ds, Prodi avrebbe potuto condurre la sua cavalcata trionfale di ottobre. D'Alema era l'uomo dei «capitani coraggiosi», quelli che, durante la sua Presidenza del Consiglio, scalarono Telecom. Oggi è caduto nella rete dei «furbetti del quartierino». La scalata Unipol-Bnl, infatti, si è trasformata in un boomerang per la Quercia. Al punto che basta un semplice conto aperto presso la Popolare Italiana di Giampiero Fiorani per pagare il leasing della sua barca per sbattere D'Alema in prima pagina quasi fosse un mostro da evitare. Ancora ieri il Corriere della Sera dedicava ampio spazio a quello che è ormai diventato il suo sport preferito: il tiro alla Quercia. In prima pagina editoriale di Sergio Romano dal titolo inequivocabile, «I Ds e le coop, fine di un'era». intervista all'ex segretario del Botteghino Achille Occhetto: «C'è una nuova questione morale, la sinistra faccia autocritica». Insomma, abbastanza per far gridare al presidente Ds, in un'intervista a Repubblica, «Siamo sotto attacco politico». Per D'Alema, infatti, «C'è in giro una banda di mascalzoni che intende colpire il più grande partito del Paese e la sua credibilità. I Ds sono la prima forza del Paese. Questo può spaventare quanti temono la costruzione di una formazione che nasce sotto il segno della nostra egemonia». Difficile non leggere in queste parole un riferimento velato agli alleati della Margherita che sono considerati da molti come i veri registi di questa campagna mediatica. Già, la Margherita, un altro dei fantasmi che ritornano nella mente di D'Alema. Il partito di Francesco Rutelli viveva relegato all'ombra dei più quotati (anche elettoralmente) cugini. Oggi si appresta invece a fagocitarli. Nella battaglia interna per l'egemonia della coalizione di centrosinistra D'Alema le ha perse tutte. Voleva un «polmone finanziario» (Bnl) da contrapporre alla Banca Intesa del prodiano Bazoli e ora rischia di veder sfumare l'operazione per l'intervento della magistratura. Aveva «snobbato» la «questione morale» sollevata da Parisi (che richiamava il «dolce Enrico» Berlinguer di vendittiana memoria) e oggi si ritrova invischiato tra chi gli imputa di possedere una barca (la sinistra girotondina e radicale) e chi lo accusa di collateralismo con Unipol. Anche il «sogno» di sedere sulla poltrona occupata oggi da Carlo Azaglio Ciampi sembra ormai tramontato. Anche perché Prodi preferirebbe Giuliano Amato al presidente Ds. Insomma Massimo D'Alema sembra essere caduto nella rete. Una rete da lui stesso tessuta.

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