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di SERGIO PATTI PRIMO punto a favore della Banca Popolare Italiana dopo mesi di scandalo e vessazioni: ...

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Titoli dal valore di 2 miliardi che sono già stati promessi all'olandese Abn Amro, che così arriverà al 50% del capitale, potrà lanciare un'Opa e diventare padrone della banca veneta. Dopo cinque mesi, tanto è durato il sequestro, la Procura del capoluogo lombardo ha così riconosciuto i segnali di discontinuità con la gestione Fiorani e la volontà dei nuovi manager di rompere con il passato. Con Fiorani a San Vittore, il precedente Cda interamente dimissionario e l'arrivo alla direzione generale di Divo Gronchi, la banca ha avviato una profonda pulizia di bilancio e sta collaborando alle indagini degli inquirenti, tanto da aver presentato una denuncia-querela contro gli ex amministratori. Tutta una serie di mosse alle quale si è aggiunta, per ultima, l'offerta di mettere a disposizione della Procura, su un conto dedicato, le plusvalenze lorde derivanti dalla cessione ad Abn. La volontà della Popolare era infatti quella di chiudere lo sblocco prima della fine dell'anno per presentarsi all'assemblea del 27-28 gennaio che dovrà eleggere il nuovo consiglio, con l'operazione in via di conclusione. Inoltre l'incasso dei 2 miliardi permetterà di mettere a posto i coefficienti patrimoniali, messi sotto pressione per la fallita operazione sull'istituto padovano e uscire da un'immobilizzazione patrimoniale particolarmente onerosa per un istituto delle dimensioni della Bpi. In ogni caso, le plusvalenze lorde, calcolate dalla Bpi in 94,2 milioni di euro, saranno accantonate su un conto a disposizione dei magistrati. Tale somma comunque non considera i costi sostenuti per la fallita scalata (commissioni e spese varie), calcolati attorno ai 90 milioni di euro e che la Popolare spera che verranno, almeno in parte, riconosciuti. L'inchiesta continua. Intanto va avanti l'inchiesta sull'ex ad della Banca Popolare Italiana, Gianpiero Fiorani, al quale ieri le Fiamme Gialle hanno trovato un dipinto del Canaletto dal valore di dieci milioni in un cassetto a scorrimento nel caveau della Bpi di Lodi. Un risultato raggiunto dopo aver aperto - solo ieri - tra le cinque e le dieci casseforti e cassette di sicurezza a lui riferibili. I militari della Guardia di Finanza erano andati a Lodi per acquisire alcuni documenti - a quanto si è appreso, dopo gli interrogatori di Fiorani e direttamente su sua indicazioni - relativi alle cassette di sicurezza che sospettavano riconducibili a lui e al suo entourage. E, proprio in una di queste, è saltato fuori il dipinto, di cui forse 10 milioni di euro è solo una prima stima, ma che potrebbe valere molto di più. Le cassette di sicurezza erano in realtà intestate a terzi, ma gli inquirenti non sembrano nutrire molti dubbi sul fatto che fossero riconducibili all'ex amministratore delegato della Banca Popolare di Lodi. Castelli protesta. Sulla vicenda giudiziaria, c'è da registrare l'intervento del ministro della Giustizia Roberto Castelli, che ha condannato il «malcostume» della divulgazione delle intercettazioni telefoniche e della violazione del segreto istruttorio. «La cosa più sconvolgente ma che non sconvolge nessuno - ha commentato - è che si accetti pedissequamente che su un reato, come quello della divulgazione di atti secretati, si sparga fango su questo o su quel personaggio». Il ministro ha quindi difeso il suo collega di partito Roberto Calderoli, chiamato in causa per presunti rapporti con Fiorani, ma anche il presidente dei Ds Massimo D'Alema, pure lui intestatario di un rapporto bancario con l'ex Lodi.

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