Forza Italia, la scomparsa di Muratori
Laureato in medicina e chirurgia, era nato a Roma il 20 gennaio del 1946. Eletto a Roma, alla Camera ricopriva il ruolo di segretario della commissione Trasporti. CI SONO volte in cui anche la politica resta senza parole. È accaduto ieri mattina, quando in Transatlantico, si è lentamente sparsa la voce della morte dell'amico e collega Luigi Muratori. Nessuna parola potrà mai descrivere la tristezza e lo sgomento che ha percorso l'Aula di Montecitorio. Nel luogo dove tutti hanno sempre una parola per commentare e giudicare i fatti della vita, improvvisamente è piombato il silenzio. Sì perché di fronte alla morte non ci sono parole, non c'è parola che possa spiegare ciò che è accaduto senza scadere nella retorica. Perché la morte è un mistero, non rientra negli schemi giusti o sbagliati di questa o di quella parte politica, non si può rinchiudere in questo o in quello schieramento, non c'è definizione che valga per la morte. Anche per chi pensa che tutto possa essere gestito e regolato con un accordo elettorale, una legge, un'interrogazione parlamentare. Di fronte alla morte, c'è solo una domanda: perché? È la domanda sul senso della vita. Sul senso della vita di chi non c'è più, ma anche di chi resta. Perché è morto Luigi? Che senso ha per noi che restiamo, la sua morte? Che senso ha la nostra vita e la responsabilità a cui siamo chiamati? Domenica Luigi aveva chiesto e ottenuto di leggere le letture e servire la messa officiata dopo la presentazione dell'associazione Popolare Europea di cui era socio fondatore. Era 40 anni che non lo faceva e, subito, aveva ringraziato il celebrante dicendogli: "Grazie di avermi permesso di tornare bambino". Il significato della sua vita e della sua morte sta tutto in quel gesto. Luigi non era certo quello che si definisce un baciapile. Ma, come un bambino, aveva riconosciuto in maniera chiara quello che aveva davanti: la presenza dell'unica cosa che dà senso e significato alla vita. Sembra quasi un segno che questo sia accaduto a soli due giorni dalla sua morte. Ho cercato qualche parola per ricordarlo. Ho trovato questa frase della liturgia ambrosiana: "Signore Dio, nella semplicità del mio cuore lietamente Ti ho dato tutto". Non ci conoscevamo prima di questa legislatura eppure, in cinque anni di lavoro fianco a fianco abbiamo imparato a conoscerci e a stimarci. Con monsignor Fisichella, me, Angelo Sanza ed altri amici deputati, aveva condiviso l'amicizia e l'esperienza del pellegrinaggio in Terrasanta. Luigi era un professionista affermato. Uno di quelli che, nella vita, avrebbe potuto accontentarsi di quello che aveva senza rimettersi in gioco. Eppure aveva deciso di fare politica, non come un mestierante qualsiasi, ma con la coscienza di chi sa che sta lavorando al servizio del paese. Per lui la politica era questo: un servizio. E così, anche quando era venuta meno la possibilità di vedersi nominare Sottosegretario, nonostante la delusione, non si era tirato indietro. Anzi aveva continuato ad impegnarsi con la passione che lo contraddistingueva. Luigi era così, dava tutto lietamente, cioè certo che quello che faceva, la responsabilità che aveva, non era per sé, ma era al servizio del Paese. Oggi molti ne parlano come di un punto di riferimento. Potrebbe sembrare strano. Perché Luigi era estraneo al circo della cannabalizzazione mediatica. Era uno che non faceva la politica urlata. La politica della demonizzazione dell'avversario e delle apparizioni televisive a tutti costi. Oggi il suo lavoro silenzioso, la sua lieta semplicità, resta come testimonianza concreta del significato vero del fare politica. Maurizio Lupi