Per il «dopo» sgomitano in sei

E via via ha lasciato morti e feriti per la strada, al punto che si può ridurre a sei «titolati» la lista dei papabili. In attesa dell'approvazione della riforma del risparmio, step essenziale alla nomina del nuovo governatore, il cerchio dei «papabili» sembra stringersi attorno a cinque candidati illustri: Tomaso Padoa Schioppa, Mario Draghi, Vittorio Grilli, Mario Monti e Lorenzo Bini Smaghi. Ma potrebbero venir fuori anche alcuni outsider come Pier Luigi Ciocca o Vincenzo Desario. Mentre resta sempre in piedi l'ipotesi, seppur remota, che torni in campo Domenico Siniscalco. Si andrebbe così da un gran ritorno nel caso di Padoa Schioppa, a un rientro dall'estero per Draghi e Bini Smaghi, a una migrazione dal Tesoro per Grilli, o a una rentreè dal mondo accademico a quello delle grandi istituzioni nel caso di Monti. Senza contare che anche il governo (o meglio: il ministro dell'Economia) ha un suo candidato da calare nella partita. Di tutti i papabili, Padoa Schioppa è certo quello che meglio conosce la «macchina» di Via Nazionale visto che proprio in Banca d'Italia ha costruito la sua carriera. Nominato nel giugno del 1984 vice direttore generale - con Carlo Azeglio Ciampi Governatore, Lamberto Dini direttore generale e l'attuale Governatore Antonio Fazio, vicedirettore generale - nel 1993, con Ciampi a Palazzo Chigi, Padoa Schioppa perse la corsa alla successione a Palazzo Koch a favore di Fazio. E anche nel 1995, quando Dini diventò presidente del Consiglio dopo le dimissioni di Berlusconi, la carica di direttore generale di Banca d'Italia andò invece al neo-vicedirettore Vincenzo Desario. Dopo un passaggio alla guida della Consob, alla nascita della Bce, lui che dell'euro fu uno dei maggiori supporter andò a ricoprire la carica di consigliere, lasciata poi a giugno scorso a Bini Smaghi. Nonostante un'etichetta certamente più di sinistra che di destra, vanta dalla sua una stima bipartisan oltre che un rapporto preferenziale con il capo dello stato Ciampi. Ma forse ancora più accreditato sembrerebbe Draghi. Passato alla storia italiana come il regista delle grandi privatizzazioni. Ha diretto il ministero del Tesoro per dieci anni dal 1991 al 2002 ed è attualmente vice presidente di Goldman Sachs. Anche in questo caso la stima per la statura del banchiere è innegabile e la sua candidatura potrebbe quindi essere ben vista sia a destra che a sinistra. È stato l'uomo delle privatizzazioni, e tra queste anche quelle bancarie. Forse a ostacolare la sua corsa potrebbe essere una scelta personale: lo stipendio. Attualmente, il suo appannaggio è altissimo e non sembra intenzionato a volerlo abbandonare per ritornare nella pubblica amministrazione, sebbene a uno dei livelli più alti. E come per Draghi, la poltrona di direttore generale del Tesoro farebbe da viatico per Via Nazionale anche per Vittorio Grilli, anch'egli peraltro molto vicino al presidente della RFepubblica. A sostenere la sua candidatura alla successione di Fazio potrebbe essere Tremonti in persona. Lo stesso ministro che dalle banche d'affari internazionali richiamò in Italia per guidare la Ragioneria generale dello Stato. Per la guida della nuova Bankitalia non può però mancare l'ipotesi «super Mario». Nelle file del centrosinistra gira una velenosa battuta: «Da un anno è mezzo è senza poltrona, trovategliene subito una». Forte di riconoscimenti internazionali nel periodo in cui a Bruxelles ha ricoperto il ruolo di commissario alla concorrenza, resta infatti ad oggi una delle grandi personalità istituzionali italiane. C'è chi dice però che a differenza dei suoi concorrenti, Monti non godrebbe dello stesso appoggio bipartisan. Ha lanciato il grande centro e viene indicato come possibile successore ministero dell'Economia di un eventuale governo dell'Unione l'anno prossimo. Non è molto amato dai poteri forti europei e soprattutto americani. Microsoft per esempio non ha dimenticato la supermulta inflittagli quan