«Attenti a una nuova tangentopoli»
Cautela, calma. «Attenti, non facciamo in modo che questa storia diventi una nuova tangentopoli», ha ripetuto il presidente del Consiglio sull'indagine relativa alla scalata di Antoveneta che ha portato all'arresto, tra gli altri, dell'ex banchiere Gianpiero Fiorani. Cautela, dunque. La direttiva di partito, per esempio, è di non rilasciare per nessun motivo dichiarazioni a favore dei pm milanesi. Di ignorarli. E giorni fa è stato ripreso persino un oscuro deputato che si era «permesso» di usare quasi parole di lode nel corso di un concitato dibattito in una tv privata milanese. Cautela. E attenzione. «Attenti a non fare in modo che siano i magistrati a fare troppi passi avanti, come accaduto in passato», ha detto sempre Berlusconi a Sandro Bondi e a Fabrizio Cicchitto, coordinatore e vice di Forza Italia convocati a pranzo a Palazzo Grazioli nell'insolita domenica romana. Cicchitto fugge via a fine pranzo. Bondi s'incammina nei vicoletti romani, si trincera la faccia nel giaccone nascondendosi il volto dal freddo e dagli sguardi indiscreti e si limita a confessare: «Che giornate, ci tocca lavorare anche di domenica». Berlusconi è rimasto molto colpito dai giornali, dalle foto dell'arresto di Fiorani, dalle cronache giudiziarie, dai particolari fatti filtrare ad arte: insomma, è preoccupato dal ritorno del clima del '92-'93. E se c'è stata una che davvero lo ha fatto sobbalzare è stata vedere saltare fuori, coinvolti di striscio da questa vicenda, due persone alle quali è molto legato: Paolo Romani e Aldo Brancher. Il primo, plenipotenziario di Forza Italia nella sua Milano, è un vecchio amico. Ex editore tv è molto legato a Paolo Berlusconi. L'altro, Brancher, ex prete, è l'ufficiale di collegamento tra il Cavaliere e la Lega. Già, la Lega. Il premier è preoccupato anche per gli uomini di Bossi. Teme che possano essere coinvolti, travolti da questa nuova ondata di inchieste e arresti che riguarda quella Banca Popolare Italiana che il Carroccio aveva di fatto adottato. «Che può succedere alla Lega?», ha domandato in più di un'occasione. Cautela, dunque. Berlusconi non vuole sentirsi dire che deve fare dai giornali. E ieri mattina è sbottato per un editoriale del Corriere della Sera, il giornale capofila della guerra a Fazio. Nell'articolo, questa volta firmato da Francesco Giavazzi, non si usavano giri di parole: «Almeno una volta, Berlusconi faccia finta di essere uno statista serio: si assuma la responsabilità di ristabilire la credibilità dell'Italia e proponga un decreto legge che con effetto immediato determini la decadenza di Fazio (...) Altrimenti c'è chi penserebbe al peggio, sospettando che le ragioni per cui da mesi Berlusconi tentenna possano essere chiarite negli atti dei giudici, durante le indagini su Fazio». Berlusconi è sobbalzato dalla sedia, per lui è un film già visto. Gli arresti annunciati prima dalla stampa, le dichiarazioni nei magistrati, i verbali e le intercettazioni largamente pubblicate e pubblicizzate. «No, dobbiamo fermare questo ritornello», ha detto il Cavaliere ai suoi commensali. E ha fatto diramare una nota scritta da Palazzo Chigi nella quale si sottolinea che «il problema della crisi di Bankitalia è stato affrontato e viene affrontato con il dovuto senso di serietà e di responsabilità istituzionali». «Non possono essere, comunque, le insinuazioni né le minacce o i ricatti - prosegue la nota - a influenzare in qualche modo l'azione del governo». «Le misure che verranno adottate - conclude il comunicato - saranno ovviamente in linea con le norme dell'ordinamento, con il fine precipuo della tutela dei risparmiatori e dell'immagine dell'Italia». Niente ricatti. Cautela, dunque. Ma anche fretta. Fretta per recuperare il tempo perduto, per dare un'accelerata e non fare in modo che - come nell'era di Mani Pulite - siano magistrati e giornali a dettare l'agenda, a imporre la linea, a stabilire le priorità. «Sì, facciamo un decreto legge, riprendiamo noi l'iniziativa», ha risposto il Cavaliere a un