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Il comitato di controllo sui servizi: «Coincidenza tra i messaggi dei rapitori e il dibattito in Italia»

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E la richiesta di chiarire fino in fondo alcuni aspetti dell'angoscioso sequestro della giornalista del Manifesto è contenuta in una relazione sull'attività del comitato presieduto da Enzo Bianco (Margherita) approvata nel settembre scorso, ma resa pubblica appena qualche giorno fa. Sia chiaro, i due mesi di tempo tra il via libera dell'organismo parlamentare e la pubblicizzazione, sono tempi tecnici. Il testo è stato varato il 28 settembre scorso ed è stato mandato alla presidenza del Consiglio per «la preventiva valutazione in ordine alla eventuale assoggettabilità al regime giuridico della segretezza di taluna delle notizie o dei riferimenti in esso contenuti». Palazzo Chigi ha rispedito il testo dando l'ok alla pubblicazione. E la relazione,, contiene un capoverso inquietante: «Occorre fare piena luce anche sulla dinamica del sequestro della giornalista de Il Manifesto Giuliana Sgrena, in relazione al quale è stata rilevata, tra l'altro, la coincidenza tra la diffusione di talune messaggi dei rapitori e lo svolgimento di alcuni passaggi del dibattito politico interno sulla missione italiana in Iraq». In altre parole, si sta indagando per capire se la data del video diffuso durante il sequestro sia stata casuale e se abbia finito per incidere sulla politica italiana. Bisogna dunque fare un passo indietro. E tornare a quel fine gennaio scorso, quando si consuma forse lo strappo più duro all'interno del centrosinistra. È il 31 gennaio quando Fausto Bertinotti annuncia di avere l'intenzione di presentare una mozione per il ritiro delle truppe. Quello stesso giorno si vota in Iraq, la prima grande dimostrazione di democrazia resa possibile grazie all'intervento militare. E il resto del centrosinistra, invece, nota il miglioramento della situazione nell'ex Paese di Saddam e ha una posizione più morbida. Il giorno dopo Francesco Rutelli (Margherita) prende le distanze: «Basta le polemiche, è nato un nuovo Iraq». Il presidente del Copaco, Enzo Bianco dice chiaramente: «Non si può chiedere il ritiro delle truppe». E Romano Prodi, per la prima volta, si spinge oltre e invoca l'intervento delle truppe Onu. In Parlamento si va al voto sul rifinanziamento della missione italiana. Tocca alle commissioni Difesa ed Esteri del Senato dare il via libera il 2 febbraio: il centrosinistra si divide, non spinge più compatto per il ritiro dei soldati italiani e, anzi, circolano le voci di una possibile astensione. Il giorno dopo si associa anche Piero Fassino (Ds) che parlerà, poche ore dopo, del voto in Iraq come uno «spartiacque». Di Pietro annuncia pure il voto favorevole alla missione. E il 4 febbraio, mentre si apre il congresso della Quercia a Roma, a Baghdad un gruppo di uomini con armi blocca l'auto sulla quale viaggia la Sgrena, il suo interprete e l'autista all'uscita dell'università An-Nahrein. La giornalista, nelle quattro ore precedenti, era stata nella moschea sunnita di al Kastal. Nella rivendicazione del sequestro, l'Organizzazione per la Jihad islamica chiede il ritiro delle truppe. Il 5 febbraio la sinistra radicale torna alla carica e chiede di andare via dall'Iraq. Anche Cesare Salvi (Ds) insiste e prega Fassino e D'Alema di essere più chiari in proposito. Nella Quercia è guerra. Il segretario non cede e continua a invocare l'Onu. Luciano Violante gli arriva in soccorso: «Il ritiro non risolve il problema». La prima conversione arriva il 7 febbraio. Il rutelliano Renzo Lusetti avverte: «No alla missione se sarà riproposta senza novità». Prodi scricchiola: «Se l'Ue e l'Onu ridefiniscono la missione in Iraq allora siamo pronti a cambiare la nostra opinione». Il 10 l'Ulivo corregge ancora la rotta: se non cambia la finalità della missione italian

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