Scende in campo Follini, la sinistra lo aiuta

La domanda è maliziosa se a farla è Matteo Cesa, figlio di Lorenzo, l'eurodeputato «prestato» alla segreteria dell'Udc dopo le dimissioni di Marco Follini. Ai duri e puri della politica la domanda - contenuta nel periodico Giò, organo di stampa del movimento giovanile centrista - potrebbe destare scandalo. Ma se si pensa al fatto che la stessa rivista è stata distribuita in occasione del battesimo - ieri a Roma alla sala Umberto - della fondazione «Formiche», nuovo laboratorio e specchio del Follini-pensiero, allora è tutto chiaro. Nel «formicaio» si lavora per evitare che la terra frani e travolga l'idea folliniana di centro dove l'ex segretario vuole infilarci «una grande Italia di mezzo, che diffida della faziosità e delle facili promesse e coltiva il senso della misura». Un'Italia che «preferisce il coraggio della verità alla viltà della finzione. Rispetta le regole, ma fa fatica a sopportare chi ha costruito e costruisce il proprio successo in spregio a quelle stesse regole». Ma per non essere la solita voce «stonata» nel coro del centrodestra chiede la sponda e la ottiene a destra e a manca. Chiama sul palco Maurizio Costanzo, ispiratore mediatico della sinistra italiana, e gli chiede di moderare opinioni riformiste, della Cdl e centriste rappresentate da Giuliano Da Empoli, Giuseppe De Rita, Edoardo Garrone e Oscar Giannino, Luigi Paganetto e Silvia Ronckey. Tutti invitati alla presentazione del laboratorio che, fanno sapere i folliniani, non sarà «il nuovo strumento politico» dell'ex segretario, semmai creato ad hoc per togliersi più di un sassolino dalla scarpa. Tanto per non farsi bollare, insomma, come il solito guastatore. Senza particolare imbarazzo Follini sceglie come slogan di «Formiche» una frase che è tutto un programma: «Politica è futuro». È un Follini sereno che interpreta le promesse di «nessun tradimento da Casini e l'Udc» fatte in mattinata dal segretario Cesa agli «amici Berlusconi e Fini» come la prova che «il tradimento non è nel registro politico dei centristi». Sul palco sceglie pochi minuti di «sobrietà» - che il microfono gli consente dopo un capriccio tecnico - per ricordare che di politica «se ne parla molto ma la si pratica poco». Poi, in prima fila, poco distante da Segni, ascolta gli invitati sul palco, alcuni dei quali spostati a sinistra e chiamati a dar man forte alle sue tesi. Ascolta De Rita sostenere che «se non si garantisce l'autorganizzazione si creano falsi leader». Segue Paganetto ribadire ciò che tutti sanno, ovvero che «viviamo in un clima di grande incertezza». Osserva interessato Da Empoli secondo il quale «il distacco della gente nasce perché il dibattito in Italia è un continuo lamento» e guarda Garrone sostenere che in Italia si «ha paura di fare le riforme perché nel breve termine risultano impopolari». E non può non compiacersi del Giannino-pensiero secondo il quale «la somma dei compromessi alla fine altro non è che impedimento a tutti i livelli», soprattutto in politica. Non invidia di certo al sottosegretario Vietti il compito di difendere le promesse fatte agli italiani e ricordare alcune delle riforme fatte dal Governoe quelle non fatte «perché abbiamo fatto cilecca» per colpa del «conservatorismo». A Tabacci l'applauso più sentito per la frase «il futuro della politica ci sarà se la politica è buona, se è invisibile il futuro non può esserci». Le «formiche» hanno cominciato a scavare, da destra e da sinistra si troveranno al centro, nella neonata fondazione, ma attenti perché, come ha ricordato Costanzo citando Marchetti, «nel loro piccolo anche le formiche si incazzano». Ma Follini addirittura sorride quando nell'immancabile rituale dei saluti tra la pletora di sostenitori qualcuno attira la sua attenzione chiamandolo «compagno, onorevole». Lui accenna a una smorfia e cerca una via d'uscita tra la folla.