Ds, 36 milioni dalla tassa sul candidato

La proposta del tesoriere della Quercia Ugo Sposetti di chiedere a ogni candidato presente in lista 60 mila euro fa discutere i Ds. E lascia particolarmente tiepidi i «peones», i candidati che sanno già con ragionevole certezza di finire in fondo alla scheda elettorale e di avere zero chance di essere eletti. Per loro si tratterebbe in pratica di un contributo a fondo perduto al partito senza alcun ritorno. Ma fa discutere anche perché l'idea arriva a pochi giorni di distanza dalla proposta di Berlusconi che a sua volta aveva chiesto 50 mila euro a ogni candidato azzurro per le elezioni. L'Unità aveva criticato in maniera durissima il premier, parlando di mercato delle candidature. Certo è che, andasse in porto, questa sarebbe per i Ds una vera e propria operazione d'oro. Si parla addirittura di 36 milioni di euro. Evidentemente Sposetti ha avuto la vista più lunga di altri e, da buon tesoriere, si è fatto i conti in tasca. Con la nuova legge elettorale proporzionale, infatti, i Ds dovrebbero candidare, secondo previsioni più o meno ottimistiche, circa 600 candidati. Il conto è fin troppo facile 60.000 euro per 600 candidati uguale 36 milioni di euro cioè esattamente quanto la Quercia ha ricevuto nel 2004 come contributi pubblici e privati. Ciò nonostante la proposta lascia parecchi diessini sconcertati. Venerdì sera ci ha provato Massimo D'Alema a gettare acqua sul fuoco della polemica interna, spiegando di trovare «eticamente giusto che il candidato alle elezioni contribuisca con una propria quota alle spese elettorali del partito». «Fino alla scorsa campagna elettorale ciascuno di noi raccoglieva i fondi per finanziarsi - ha aggiunto - Adesso che si viene messi in lista ed eletti "ope legis" trovo eticamente giusto che ciascun candidato dia il proprio contributo». «Noi non vogliamo far pagare il biglietto a nessuno. Con le liste bloccate c'è il rischio concreto che chi sta in fondo non contribuisca alle spese elettorali e Sposetti ha ragione a preoccuparsi». Anche Vannino Chiti, lasciando ieri il Palacongressi di Firenze dopo il discorso di Piero Fassino che ha chiuso la tre giorni di dibattito sul programma, ha provato a giustificare la proposta. «Non è una tassa per candidarsi ma è un impegno per chi si presenta a trovare risorse per il partito. Con le liste bloccate c'è già un vincitore e il rischio è proprio quello di non contribuire alle spese per le elezioni». Più cauto Valdo Spini - deputato eletto in Toscana e probabilmente costretto a emigrare in un altra regione proprio per colpa della nuova legge elettorale che penalizza le regioni rosse - che parla del pericolo di introdurre in questo modo una specie di «scalino classista». «C'è il rischio di avere dei candidati che non hanno i soldi per contribuire a una spesa così alta. Anche perché adesso sarà più difficile raccogliere i soldi tra gli elettori. Prima chi si presentava nel proprio collegio faceva una specie di "colletta", ora non so quanti cittadini saranno disposti a dare soldi a un signore sconosciuto paracadutato dal partito in un collegio non suo. Senza contare che chi sta in fondo alla lista dovrebbe dare un contributo a fondo perduto, che non porta a nulla». Preoccupazione che in parte è anche quella di Walter Tocci, deputato romano, ex assessore comunale alla mobilità con la giunta Rutelli e al suo primo mandato parlamentare. «Io farei pagare solo i deputati uscenti che comunque hanno avuto la possibilità in cinque anni di avere dei fondi da mettere da parte. Personalmente per la mia campagna elettorale nel 2001 ho speso di meno, ma si tratta comunque di una cifra ragionevole. Mi sembra invece poco praticabile imporre un contributo così alto a chi si candida per la prima volta. Ma bisogna studiare bene il meccanismo anche per quelli che si ritroveranno in fondo alla lista con la matematica certezza di non essere eletti».