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Il sindaco di Roma spinge sul suo progetto «Il partito democratico? Ne parlo da 15 anni»

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Il giorno dopo le polemiche sulla sua accelerazione per formare il nuovo partito democratico che unisca Ds e Margherita il sindaco di Roma è addirittura meravigliato da tanto rumore. Ma dal palco del Palacongressi di Firenze, dove si svolge la tre giorni di dibattito della Quercia sul programma, non rinuncia a ribadire la sua idea, che è quella di «costruire una nuova forma politica che pesi un terzo dei voti nell'Unione». «È necessario - aggiunge - per consegnare a Prodi uno schieramento forte e unito». Unità è la parola che sottolinea Veltroni, così come farà Prodi nel suo intervento un'ora più tardi. Alla parte più politica Veltroni dedica la parte finale del suo intervento, dieci minuti in tutto sul palco ascoltato attentamente dallo stato maggiore della Quercia: Fassino e D'Alema al tavolo della presidenza e sotto, in platea, Angius, Bersani, Livia Turco, Violante, Giovanna Melandri, Bassolino e Cofferati. Non fa record di applausi Veltroni ma si sente che i mille e passa delegati del Palacongressi hanno voglia di ascoltarlo. Di sapere dove va a parare quella sua entrata a gamba tesa sul segretario a proposito del nuovo partito democratico. Veltroni la prende da lontano e inizia parlando del centrodestra «colpevole di aver tolto all'Italia sicurezza e speranza». «Il nostro - prosegue - è un Paese stanco. Lo vediamo nei ragazzi, nella caduta di una parte del ceto medio». Quella media borghesia, dalla quale anche Veltroni viene, e che oggi «per la prima volta nella storia sente di precipitare verso il basso della colonna sociale e non ha più la speranza di andare invece verso l'alto come accadeva fino a qualche tempo fa». E, visto che il tema è di quelli ormai abusati dal centrosinistra per attaccare la Cdl, Veltroni ci infila dentro un paragone con gli Stati Uniti. «Oggi in Italia sentiamo le stesse storie che abbiamo ascoltato venire dall'America, dirigenti d'azienda che perdono il lavoro e si ritrovano sul lastrico, incapaci di far fronte anche alla più piccola emergenza sanitaria. Per questo tra le nostre priorità deve esserci la lotta alla povertà, il riformismo non è riformismo se non è di popolo». Parole che il sindaco di Roma usa per introdurre la parte più politica del suo discorso. «L'Italia ha bisogno della stabilità che gli è stata sottratta da questa legge elettorale, dobbiamo consegnare a Prodi una coalizione fortemente unita, perché solo così si potranno fare quelle riforme dure e difficili che ci aspettano. Ma per questo bisogna costruire un soggetto riformista, abbiamo visto molte cose nuove iniziare, ora dobbiamo vederne anche lo svolgimento». Veltroni chiude il suo intervento e va stringere la mano a Prodi, poi si siede accanto a Gavino Angius. Quando, dopo una mezz'ora si alza e si avvia verso il bar che sta dietro l'anfiteatro è bloccato dai giornalisti. Partito democratico e ticket Veltroni-Rutelli sono le domande. Il sindaco si vede che non ha voglia di parlare ancora, risponde solo con un «i ticket non mi piacciono, io voglio abolire anche quelli sanitari. E poi guardate che io queste cose le dico da dieci anni». E per seminare i cronisti si infila in un bagno da dove rispunta solo per andarsi a riaccomodare in prima fila in platea per ascoltare l'intervento di Prodi. Poi, all'una e mezza saluta e se ne va, esce dal Palacongressi snobbando le auto blu allineate sul piazzale e si infila invece nella stazione a prendere il treno che lo riporta a Roma. Nel programma dei Ds c'è un capitolo intero dedicato alla «cura del ferro...».

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