Veltroni-Rutelli il ticket fa paura ai Ds

Tra i mille e più tra delegati e parlamentari che da ieri e per tre giorni affolleranno il Palacongressi di Firenze il tema che tiene banco è soprattutto quello dell'accelerazione che il sindaco di Roma Walter Veltroni e il leader della Margherita Francesco Rutelli hanno dato alla nascita del partito democratico. Al popolo dei diesse e in particolare ai fassiniani, non è garbato affatto l'asse che sembra essersi costruito tra l'ex sindaco della capitale e quello attuale, una nuova alleanza tra cinquantenni «vincenti», da molti sono visti come il futuro del centrosinistra in Italia. I due, in realtà, non si sono mai potuti sopportare, anche se pubblicamente non hanno mai dimostrato la loro insofferenza. Però stavolta sembra abbiano trovato un obiettivo comune, la nascita, in tempi che siano i più brevi possibile, del nuovo partito democratico. Cosa sulla quale invece Fassino, ma soprattutto la base dei Ds, lo zoccolo duro, sono ancora molto, molto prudenti. Così ieri, mentre sul palco si avvicendavano i relatori, da Pierluigi Bersani a Giuliano Amato e, tra gli invitati, Savino Pezzotta e Matteo Colaninno, tra i corridoi e in platea teneva banco il supposto ticket Veltroni-Rutelli. Ma soprattutto la fretta sul nuovo soggetto politico, un discorso che è sembrato una forzatura rispetto alla linea indicata dal segretario. «Facciamo un referendum nei Ds per vedere che vuole veramente farlo questo partito democratico - è la sfida di un esponente della Quercia - Qui rischiamo di cadere in un abbraccio mortale con Rutelli. C'è qualcuno che pensa veramente di sciogliere il partito in qualcosa che non sappiamo neppure che cosa sarà?». Ma c'è anche chi, come Giovanna Melandri, difende Veltroni: «Non hanno capito quello che voleva dire Walter, le sue parole sono state strumentalizzate, le hanno prese come un attacco a Piero e a Prodi. Invece voleva solo dare un contributo al partito». Ma questo non è l'unico tema che agita le file dei Ds. L'altro grande problema è la caccia al posto in lista per le prossime elezioni. Con il nuovo sistema proporzionale le regioni più forti, le «rosse» Emilia e Toscana, sono diventate invece quelle che eleggeranno meno deputati - sei in meno ognuna - mentre invece diventano «forti» altre come Lombardia (addirittura +24) e Campania (+17). Logico che debba esserci una «transumanza» ma a decidere tempi, modi e soprattutto nomi sarà solo Fassino. E c'è già chi comincia a puntare i piedi. «Sono stato eletto in Toscana, ho curato il mio collegio e ora mi vogliono spedire addirittura in un a regione del sud - sibila un deputato - E questo perché Chiti vuole fare il capolista. Mi dispiace ma io non ci sto». Sul palco intanto si provano a dimenticare le polemiche sotterranee e si parla di programma, dell'Italia che i Ds hanno in mente se andranno al governo. La convention fiorentina si apre sulle note di «What a wonderful world» di Armstrong seguite da una serie di interviste a cittadini su quelli che sono i problemi che vorrebbero vedere risolti con un governo di centrosinistra. Poi parte di Rino Gaetano e sul palco salgono Fassino, D'Alema e Bersani. Il primo intervento è del sindaco di Firenze Dominici, poi tocca a Pierluigi Bersani spiegare l'Italia che la Quercia ha in mente. Tra ritiro delle truppe dall'Iraq, attacco ai falsi miracoli Berlusconiani e ricette scaccia crisi se ne va via quasi un'ora. Un'ora in cui, come dice un delegato «la parte più divertente sono le battute in emiliano». Oggi si aspetta Prodi. Ma prima di lui la platea aspetta Walter Veltroni.