«Cattolici, difendete la vita. Non le istituzioni»
Linea dura dei vescovi sull'aborto: «È un problema grave, non contano le maggioranze»
Tornano a tuonare, i vescovi italiani, in un messaggio reso noto ieri in vista della ventottesima giornata per la vita in programma il prossimo 5 febbraio. Il primo loro bersaglio riguarda la mancanza di adeguate politiche organiche in sostegno della natalità. In ballo - a loro dire - c'è la «vitalità» e il «futuro della nostra società». È un fattore a tutt'oggi trascurato, quello del calo demografico. Sono molti, infatti «i coniugi che hanno meno figli di quanti ne vorrebbero». E ad essere chiamate dai vescovi a dover rispondere in modo adeguato al problema sono proprio le istituzioni politiche di qualsiasi schieramento perché, spiegano, «la vita umana viene prima di tutte le istituzioni: lo Stato, le maggioranze, le strutture sociali e politiche». Essa «precede anche la scienza con le sue acquisizioni». Il secondo bersaglio si chiama aborto. È «grave», per i vescovi, «la soppressione diretta di vite innocenti», una vera e propria piaga dietro la quale «spesso ci sono gravi drammi umani ma a cui, a volte, si ricorre con leggerezza». Quali soluzioni adottare, quali misure prendere? A detta dei vescovi, oggi più che mai capitanati dal cardinale vicario per la città di Roma e presidente della Cei, Camillo Ruini, è necessario valorizzare quegli aspetti della stessa legge 194 «che si pongono sul versante della tutela della maternità e dell'aiuto alle donne che si trovano in difficoltà di fronte ad una gravidanza». «Davanti alla piaga dell'aborto - hanno scritto i vescovi nel loro messaggio - tutti siamo chiamati a fare ogni sforzo per aiutare le donne ad accogliere la vita». E ancora: «Rispettare la vita significa anche fare tutto il possibile per salvarla. Quando pensiamo a un nascituro, vogliamo, perciò, pensare a un essere umano che ha il diritto, come ogni altro essere umano, a vivere e a ricercare la libertà e la felicità». Dietro il breve documento dei vescovi, il riferimento implicito a due temi che in questi giorni tanto stanno facendo discutere l'opinione pubblica nonché settori di ambo gli schieramenti politici: i consultori e la Ru486. Per i vescovi, sostenere la maternità delle donne significa innanzitutto permettere loro di poter incontrare nei consultori, soprattutto nei delicati mesi d'inizio gravidanza, persone appartenenti ad associazioni che, proprio perché anti-abortiste, sono a favore della donna e della vita che portano nel grembo. Significa cioè, far sì che le donne guardino alla propria gravidanza come ad un esperienza positiva e che, come tale, non va eliminata. In secondo luogo, le parole di ieri del consiglio permanente della Cei, risaltano come una chiara ed ennesima condanna della Ru486, definita nei giorni scorsi ad Assisi dallo stesso Ruini come «una forma grave di aborto». Per finire, un terzo bersaglio: i giovani, o meglio, quei giovani che, senza rispettare la vita, ricercano «la libertà e la felicità con espressioni esasperate o estreme». Quali? L'uso pervasivo della droga, il doping nello sport, l'alcol, le sfide in auto o in moto e «altri comportamenti analoghi» che «non sono semplicemente gesti di sprezzo della morte», o «un gioco tanto infantile quanto incosciente», ma piuttosto sono segnali di «indifferenza per la vita e i suoi valori», segnali di «scarso amore per se stessi e per gli altri». Una società che tollera «una simile deriva» e non si interroga «sulle cause e sui rimedi» - scrivono i vescovi - «non si rende conto della reale posta in gioco: chi da giovane non rispetta la vita, propria e altrui, difficilmente la rispetterà da adulto». Intanto una nota dell'Osservatore Romano spiega: l'omosessuale non potrà mai essere un buon prete perché non potrà incarnare «la realtà simbolica del legame sponsale e della paternità spirituale». Per questo i gay non possono essere sacerdoti anche se vivono in castità. E per questo la Chiesa deve scegliere come preti «uomini ben fondati nella maturità della propria mascolinità».