Bertinotti s'è già stufato di Prodi
«Sembra l'oracolo di Delfi, va interpretato». E lo sfida: «Nei primi giorni di governo si dedichi solo all'equità»
A differenza del primo governo Prodi, nel '96, quando lo sgambettò rompendo clamorosamente il patto, ora Bertinotti s'è stufato prima ancora che il centrosinistra riesca ad approdare (se mai ci riuscirà) a Palazzo Chigi. «In questi giorni Prodi è come l'oracolo di Delfi... va interpretato, fino a quando non ci sono le tavole. L'Unione ha 12 tavoli del programma e credo che su molti punti si proceda in modo convincente». Il leader del Prc quindi prende le distanze dal Professore e dalle sue dichiarazioni che spesso vengono smentite il giorno dopo. Come la storia della sua adesione al «modello danese» in materia di mercato del lavoro, una delle proposte avanzate ultimamente dall'economista Giavazzi e da Prodi citata, ma che ieri il suo portavoce ha smentito. Non solo lo trova un po' ambiguo, ma secondo il «ragazzo dalla maglietta a strisce» (per citare il suo libro) «i primi 100 giorni di governo saranno un banco di prova. In Italia chi propone una politica di "lacrime e sangue" è meglio che si dedichi ad altro -sottolinea minaccioso - Nei primi 100 giorni il Governo si deve dedicare all'equità, cioè ad una ridistribuzione del reddito verso le fasce che hanno subito di più dalla politica delle destre». Questa la «sua» priorità, che non ammette deroghe. E ammonisce: «Nel Governo dell'Unione c'è attesa di cambiamento. Un'attesa carica di speranze ma anche di diffidenze». Questo secondo Bertinotti è essenziale alla tenuta dell'Unione, perché «se fallisse - prosegue - l'ipotesi neocentrista potrebbe prendere corpo». E ieri Prodi, dopo l'affondo del suo antagonista interno alla coalizione, ha dovuto tener duro pure nel lungo braccio di ferro con le altre primedonne dell'Ulivo. Rutelli e Fassino, infatti, hanno preteso e ottenuto dal leader dell'Unione la loro fetta i candidature e sono giunti a un'intesa di massima sulla questione del capolista alle politiche. Nel vertice dell'Ulivo tra Prodi e i leader di Ds e Margherita è stato deciso che Prodi sia capolista nella maggioranza delle circoscrizioni ma non in tutte. Si parla infatti di un minimo di quattro a un massimo di dieci, che andranno con tutta probabilità a Rutelli, Fassino, Parisi e D'Alema (che ieri da Vespa si è candidato al ministero degli Esteri, spintonando, senza complimenti, l'amico Piero). Ma ancora non sono state definite le circoscrizioni in cui il Professore non sarà il numero uno dell'Ulivo. Terminato il vertice, Dario Franceschini, Vannino Chiti e Ricki Levi hanno lavorato a lungo per definire il documento. «Romano Prodi proporrà un numero di candidati da inserire nelle liste dell'Ulivo accanto ai candidati dei Democratici di sinistra, della Margherita e delle altre forze». dice il documento mostrando che Prodi ha ottenuto in cambio delle circoscrizioni concesse, un bel po' di posti per i suoi uomini, fedelissimi come lo stesso Levi e il tesoriere Rovati. Non solo, ma «nel rispetto e nella conferma delle decisioni politiche già assunte da parte dei Democratici di Sinistra e dalla Margherita, si è espresso un parere favorevole alla costituzione di gruppi parlamentari unitari tanto alla Camera quanto al Senato». A questo proposito si è deciso «di organizzare un incontro con le forze e i movimenti che considerano come interlocutori nel processo di formazione delle liste». Ed è su queste ultime parole che si scatena l'ra iconoclasta di Antonio Di Pietro dell'Italia dei Valori, che, con Luciana Sbarbati dei Repubblicani Europei si sente respinto dall'asse Ds-Dl. «Chi sono questi interlocutori di cui si parla tanto? Noi abbiamo scritto, telefonato, mancano solo i segnali di fumo, a tutti i leader dell'Ulivo e non abbiamo mai ricevuto risposta», sottolinea Di Pietro e continua: «Usciamo dall'ipocrisia - conclude Di Pietro - ci dicano come stanno veramente le cose!».