Rutelli: «Governeremo con i sindacati»

Quindi, se il centrosinistra verrà eletto, con i sindacati al potere, al fianco di un governo di centrosinistra, per i lavoratori ci saranno cinque anni di «lacrime e sangue». Niente più scioperi e manifestazioni forse, ma tanti sacrifici per le tasche di chi vive solo del suo lavoro. Il presidente della Margherita nel Big talk milanese, si rivolge direttamente al leader della coalizione puntando su sei priorità per un esecutivo che duri cinque anni e che rilanci l'Italia. Il suo intervento è tutto incentrato sui temi programmatici, senza disdegnare l'attualità politica, e rilancia con forza il progetto del Partito democratico, assicurando che i Dl non hanno nessuna intenzione di restare «chiusi nel proprio recinto». Dura la sua analisi sulla situazione attuale del paese, che non cresce, che si trova con un deficit ed un debito pubblico in aumento e conti pubblici «disastrati». Durissimo il giudizio sull'operato del governo. Dunque, è la conclusione, gli italiani vogliono cambiare pagina e il ciclo berlusconiano è arrivato alla fine. Serve quindi un patto di legislatura per la crescita, con i primi 100 giorni del nuovo governo «che dovranno dare il segno del cambiamento». E per lui questo cambiamento verrà segnato in maniera indelebile dal patto sociale con i sindacati. Il leader dei Dl infatti ribadisce la necessità di ridurre sensibilmente le tasse sul lavoro e di puntare su uno Stato sociale «familiare e generazionale», che investa sulle famiglie e sui bambini. In che modo, non si sa bene. «È tutto condivisibile e in piena sintonia con l'elaborazione dei Ds. Ci battiamo per far uscire l'Italia dal rischio di declino, per rimettere in moto la crescita economia per cui sarà fondamentale l'innovazione e lo sviluppo tecnologico», concorda subito Fassino. La prima giornata del Big talk milanese negli Est And Studios però viene monopolizzata dalla polemica interna tra rutelliani e parisiani, i quali si sono sentiti «esclusi» dalla maggioranza più radical chic e meglio inserita negli ambienti industriali del paese. A dare un ulteriore schiaffone ad Arturo Parisi e compagni contribuisce lo stesso Romano Prodi che arriva a sorpresa al Big talk della Margherita. I parisiani infatti attaccano per tutto il giorno il gruppo dirigente di Francesco Rutelli e Franco Marini, lamentandosi di essere stati esclusi dai dibattiti. Tra i più critici Willer Bordon e Franco Monaco, mentre Pierluigi Mantini definisce il Big Talk di Milano «un talk show che somiglia all'Isola dei famosi, senza la Ventura, gli ulivisti e gli esponenti lombardi del partito, con i Vip sotto i riflettori e i militanti in piedi, e le piante di ulivo prese in prestito ben esposte alla neve e al gelo». Insomma, le due anime della Margherita continuano a non intendersi e la polemica non sembra doversi esaurire. E allora, come spesso accade in questi casi, entrano in gioco i cosiddetti pontieri. Enrico Letta si dice «sinceramente dispiaciuto» dell'assenza di Parisi. Pierluigi Castagnetti e Rosi Bindi chiedono esplicitamente il ritorno ad una gestione unitaria della Margherita. Ma a fine pomeriggio l'arrivo a sorpresa del professore, che doveva chiudere la convention. Prodi si tiene lontano dalle polemiche, ma non rinuncia a ribadire la vicinanza che lo lega al suo braccio destro. Insomma, l'arrivo di Romano Prodi al Big Talk della Margherita con un giorno di anticipo taglia un po' la testa alle polemiche dei parisiani. Anche perché la visita viene leta come una presa di distanza dalla posizione di Arturo Parisi e dei suoi. A fine serata però la cena-festa del Big talk sembra veramente assomigliare a quella dell'Isola dei famosi, infatti, insieme a industriali come Tronchetti Bombassei e a politici come Zaccaria e la Melandri, ci sono anche i giornalisti Antonio Di Bella e Antonello Piroso e il patron dell'Isola Giorgio Gori con la moglie Cristina Parodi. Giu.Cer.