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I Ds: «Con Prodi i ricchi erano più ricchi»

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Le grandi imprese favorite dall'Ulivo per oltre 2 miliardi di euro. Agevolato chi guadagnava in Borsa

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È con questa slogan a sorpresa che i Ds rivendicano i propri successi in campo fiscale mettendoli a confronto con le realizzazione della riforma di Giulio Tremonti durante il governo di Silvio Berlusconi. In un lungo documento su «Economia e Impresa» messo a disposizione dei deputati del partito di Piero Fassino si compie il raffronto fra i governi dell'Ulivo e quello della Cdl. «Per le imprese», spiegano i tecnici Ds, «in questi quattro anni c'è stata una diminuzione dell'aliquota Irpeg, diventata Ires, che è scesa al 33 per cento. Ma lo sconto è avvenuto con la scomparsa della Dit, della Superdit e della tassazione agevolata al 19% sulle cessioni di aziende e sulle operazioni straordinarie, conun saldo negativo per le imprese di 2 miliardi e 52 milioni di euro». Come dire: ai tempi dell'Ulivo i superricchi erano stati favoriti dal governo per ben 4 mila miliardi di vecchie lire in più. Quel primato di avere abbassato le tasse soprattutto ai redditi più alti non spetta dunque, come tanta pubblicistica del centrosinistra sostiene, alla coppia Berlusconi-Tremonti, ma a quella precedente Prodi-Visco poi sostituita da D'Alema-Visco. Attento come nessun altro governo nella storia ad alleggerire la pressione fiscale a molti di quelli che sarebbero divenuti protagonisti della «merchant bank di palazzo Chigi». Si pensi alla tassazione sui guadagni di borsa. Nel 1997 è stato proprio il Governo di Centro-sinistra guidato da Prodi a decidere di abbattere le aliquote sulle plusvalenze realizzate con azioni, obbligazioni e altri titoli finanziari. Il decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461, relativo al riordino della disciplina tributaria dei redditi di capitale, ha previsto un sostanziale livellamento di tutta la tassazione dei redditi finanziari al 12,5 per cento: una ritenuta alla fonte applicata direttamente dagli intermediari finanziari, senza la necessità di comunicare alcunché nella dichiarazione dei redditi. Il precedente regime fiscale, invece, prevedeva due strade: la prima era il pagamento del 25 per cento sulla somma delle plusvalenze realizzate, alle quali potevano essere sottratte le eventuali minusvalenze (regime analitico). C'era poi una seconda via, che però non poteva essere percorsa da chi deteneva partecipazioni qualificate, cioè i grandi capitalisti: si poteva pagare il 15 per cento sui guadagni realizzati. Con Prodi e Visco i ricchissimi in borsa dunque risparmiarono sui loro guadagni due punti e mezzo di tassazione: fu alleggerita quindi loro la pressione fiscale del 16,6 per cento, un regalo clamoroso. Secondo uno studio realizzato nei mesi scorsi dal Certi, Centro di ricerche tributarie dell'impresa dell'Università Bocconi, questa non è stata l'unica legge a favore dei capitalisti realizzata nel quinquennio 1996-2001 dai governi di Centro-sinistra. Con la legge 21 novembre 2000, n. 342, sono state ridotte in modo netto le aliquote dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni portandole al 3, 5 e 7 per cento a seconda del rapporto sussistente tra il defunto e i suoi eredi, e tra donante e donatario. Il Certi ha anche messo l'accento su alcune leggi che riguardano da vicino i lavoratori, con le modifiche apportate ai criteri per la determinazione del reddito di lavoro dipendente. Ad esempio il decreto legislativo del 15 dicembre 1997, all'articolo 46 ridusse da sette a cinque gli scaglioni Irpef previsti dal testo unico sui redditi. Lasciando invariata la pressione fiscale ai redditi medio-bassi, regalando un punto in media ai redditi medi e ben cinque punti e mezzo di sconto ai ricchissimi: l'aliquota massima scese dal 51 per cento al 45,5 per cento. Berlusconiani dentro.

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