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Via Fisichella I fondatori lasciano An

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All'inizio del suo intervento, annuncia: «Non ho votato questa riforma e non la condivido». Fini non c'è, entra in aula dopo qualche istante. Resta in piedi, poi volge lo sguardo ai banchi verso sinistra: quasi a voler dare plasticamente le spalle a Fisichella che sta andando avanti con il suo discorso. Fini sbadiglia. Finito lo sbadiglio infila la mano nella tasca della giacca e tira fuori il telefonino per vedere se sono arrivati sms. Non ce ne sono. E allora guarda nel vuoto, sempre guardando verso sinistra. Fisichella invece va avanti, inesorabile. E le sue parole sono pietre. Anzi, sono sassate. Sassate contro Fini. Voto no e lascio An, dice più avanti. «Le mie dimissioni — spiega il vicepresidente del Senato — decorrono dal momento dell'approvazione di questa riforma costituzionale. Su di essa il mio voto è contrario». Fisichella spiega: «Anche nella presente legislatura e in continuità di atteggiamento, ho contrastato la riforma costituzionale promossa dal centrodestra votando contro — ha detto — Confermo questo voto contrario, perché non mi pare che il quadro sia migliorato». Secondo il costituzionalista, non basta la presenza della nozione di interesse nazionale per cambiare opinione sul testo. «C'è una storia nazionale, nella quale io mi riconosco, che non contempla il federalismo. C'è una storia familiare e personale che non contempla il federalismo. Non ripercorrerò le vicende di quanti nella mia famiglia, dal Risorgimento ad oggi, hanno patito le repressioni borboniche, servito la patria in uniforme, conseguito medaglie al valor militare, subito l'internamento nei campi di concentramento nazisti, militato come parlamentari del vecchio Msi. Hanno fatto il loro dovere, e questo dovere non contempla il federalismo». Su queste parole Fini si gira verso il senatore (ancora del suo partito), ma è un attimo. Poi rotea la testa, guarda in alto, scruta il soffitto. Finischella non si ferma, continua a tirare pietre. E conclude con i massi più pesanti: «Aggiungo che credo di aver fatto qualcosa per la nascita e lo sviluppo di An, al cui interno per altro mi sono costantemente impegnato perché fosse evitato l'esito federalista. Oggi siamo all'epilogo. Ne prendo serenamente atto, senza malanimo verso nessuno. Lascio An». Restano impassibili i suoi vicini di banco: alla sua destra Riccardo Pedrizzi, alla sua sinistra Riccardo De Corato. Non se la sente di far finta di nulla Alfredo Mantica, seduto davanti a Fisichella. Si alza, gli stringe la mano con tutte e due le mani. Un saluto prolungato. Applausi dalla sinistra. Poi Mantica si risiede e scoppia a piangere come un bambino. Non riesce a trattanersi. Finita la seduta scappa via, in un'enoteca nel retro di Palazzo Madama e si «spara» due birre olandesi color ambra: «S'è visto che mi sono commosso? Ma non si può sempre fare finta di nulla. Sia chiaro, lo sappiamo tutti che Domenico ha un carattere di merda. C'ho litigato tre milioni e mezzo di volte. Ma se ne va lui, un mondo, le nostre certezze. Ma che siamo? Che stiamo diventando?». E in effetti, non va via solo Fisichella. Va via quello che ha dato il nome al partito. Un fondatore. L'ideologo. Dopo Publio Fiori. E dopo anche Gaetano Rebecchini. Restano Gustavo Selva in continua polemica interna con gli ex missini. E Pietro Armani, che già qualcuno vorrebbe non ricandidare. In aula Nania va da Fini, gli parla nell'orecchio. Ma lui platealmente dice di no e fa un gesto con la mano come dire: «Via, via». Non commenta, lascia che parlino le parole del portavoce, Andrea Ronchi: «Le motivazioni personali e familiari addotte dal senatore Fisichella sono rispettabili. Ci risultano del tutto incomprensibili quelle politiche. Evidentemente ha preso atto del suo totale isolamento all'interno del gruppo». Ignazio La Russa è gelido: «Se n'era già andato, ha aspettato solo il momento più plateale. È un problema di palcoscenico». In serata arriva

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