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Con Silviaccio Benigni paga le tasse al 4,5%

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Naturale che Adriano Celentano e Roberto Benigni abbiamo in comune la riconoscenza di parte dei vertici di viale Mazzini. In comune i due hanno però anche altro: un commercialista con i fiocchi, e la capacità di aggirarsi come fulmini fra codici e codicilli fiscali emessi durante il «regime» di Silvio Berlusconi. In comune di conseguenza la capacità di dare più di un maldipancia al povero «esattore», Giulio Tremonti. Ma se il predicatore Celentano alle prediche sta meno attento quando si tratta di restituire allo Stato parte dei guadagni ricevuti da un'azienda pubblica, Benigni è senza dubbio il suo primo maestro. Basta dare un'occhiata ai bilanci delle società cui i due showman a tutto campo hanno affidato le proprie fortune professionali. Se il Clan Celentano durante gli anni bui di Berlusconi al potere ha goduto di una pressione fiscale del 14,92%, come documentato da Il Tempo nei giorni scorsi, Benigni e la moglie Nicoletta Braschi si sono visti portare via dal fisco appena il 4,49% dei sudatissimi guadagni. Questo mostrano i bilanci della Melampo cinematografica srl (la società di produzione dei film) negli anni 2001-2004 in cui il centrodestra è stato al potere. Giri di affari di tutto rispetto, e utili di conseguenza (salvo nel 2003 in cui gli affari hanno subito un brusco stop...). Perché in quel periodo, che sostanzialmente parte ancora con lo sfruttamento de «La vita è bella», passa attraverso la maxiproduzione di «Pinocchio», e approda all'ultima fatica cinematografica, «La tigre e la neve», il fatturato dei Benigni ha sfondato il tetto dei cento milioni di euro. I ricavi complessivi nell'era berlusconiana sono stati infatti di circa 107 milioni di euro, e l'utile, penalizzato appunto dal regresso del 2003, è ammontato comunque a 10,2 milioni di euro, qualcosa come venti miliardi di vecchie lire. Secondo le relazioni di bilancio firmate dal cognato di Benigni, Gianluigi Braschi (fratello della moglie Nicoletta), al fisco nello stesso periodo sono stati versati in tutto 458.535 euro, pari appunto al 4,49% di quanto guadagnato. A facilitare questa pressione fiscale «lussemburghese» la distribuzione di dividendi agli azionisti e l'incasso di dividendi, interessi e proventi straordinari sugli investimenti degli anni precedenti. Un quadro fiscale, è bene precisarlo, perfettamente consentito dalla legislazione italiana, e quindi senza rischio di incappare nelle norme anti-evasione o anti-elusione. Ma assai simile a quello sfruttato fra mille polemiche e per cifre molto superiori dai cosiddetti immobiliaristi nella vicenda Bnl. I Celentano e i Benigni nel loro piccolo, quindi, non hanno avuto comportamenti fiscali tanto diversi dai Ricucci, dai Coppola e dagli Statuto. Eppure sono diventati (Adriano solo in quest'ultima occasione) bandiere viventi del centro-sinistra, simboli in carne ed ossa della libertà e del vivere per bene. Anche le leggi più contestate da quel fronte politico hanno fatto comodo alle nuove bandiere del centro sinistra. Il comico toscanaccio nella sua Melampo non ha disdegnato l'utilizzo dei vantaggi offerti da quel criticatissimo condono fiscale di Tremonti. Tanto che ha aderito al primo condono accantonando per versarli al fisco e chiudere possibili contenziosi su anni passati più di 315 mila euro durante il 2002. L'anno successivo, alla riapertura dei termini del condono fra i fischi parlamentari del centro-sinistra e le grida di piazza contro la finanza facile e permissiva, Benigni non ha rifiutato nemmeno la nuova occasione. Anzi, vi ha aderito versando altri 155.780 euro sperando così di chiudere qualsiasi partita del passato con l'Agenzia delle entrate. In tutto il comico, regista e attore toscano ha versato 471.284 euro per la chiusura delle pendenze. Il suo personalissimo scudo fiscale.

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