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Celentano è lento, ha censurato Sabina

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Il suo «famoso» contratto era una fotocopia dei precedenti. E Beppe Grillo ha dato forfait all'ultimo

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E daremo alla Rai quel che è della Rai: le riconosceremo la capacità di trasformare in «evento politico» una trasmissione trita e ritrita, con le povere elucubrazioni da osteria della via Gluck di un Adriano non ancora emancipato dagli anni Sessanta. Per lui l'Italia resta quella di Peppone e don Camillo (che noia!) e per scandalizzare ha brillantissime trovate: come quella di trasformare don Camillo in Peppone e viceversa. Grande idea. Poi ha montato un gran cancan sulla libertà di parola in Rai, lui sbandieratore fiorentino della Costituzione, lui difensore dei deboli Santoro e Biagi seduti su montagne di remuneratissime collaborazioni giornalistiche o su poltrone politiche che non sanno onorare. Balle. Tutte balle. Ora vi spieghiamo perché. Innanzitutto quel fantomatico contratto che avrebbe spaccato mezzo mondo e sfidato gli strali della politica alta fino all'autosospensione di Fabrizio Del Noce detto "noisette" è una fotocopia. Sì: fogli cavati fuori dall'archivio Rai con codici, codicilli e tanto di cifre semplicemente ricopiati. In passato, per le due precedenti trasmissioni del Molleggiato, erano stati firmati dal Saccà di nomina destra e dal sinistrissimo Zaccaria. Nulla di nuovo sul fronte occidentale, quindi, tranne il timore di fare flop e, quindi, una preventiva e massiccia campagna di marketing per creare l'alone del «maledetto» sul bolsetto Celentano. Già, perché l'Adriano senza peli sulla lingua, lui in persona, è il censuratore della povera Sabina Guzzanti, mortificata nel suo slancio imitatorio proprio allo scadere dell'ultima serata rock. È lento, Celentano, quando fa le riunioni e prende le parti del Cavaliere Nero. Lentissimo quando dice, come fosse il discorso della montagna: «Abbiamo margini di libertà mai ottenuti prima, non possiamo abusarne gettando fango gratuitamente su alcuni personaggi della politica». Ma il fango, udite udite, non era per Berlusconi, di cui Adriano temeva solo un'overdose perché Cornacchione s'era portato anche la sagoma del Cavaliere, bensì per il divo Giulio, il senatore a vita Andreotti che la Guzzanti voleva gratuitamente definire «mafioso vero» salvatosi solo per la prescrizione del reato. Nel petto d'Adriano, il lento Adriano, batte un cuore democristiano. Intorno a quel tavolo delle libertà che è la redazione di Rockpolitik la discussione sulle imitazioni di Sabina è durata 4 estenuanti ore. Fino a mezz'ora prima della trasmissione la beniamina della sinistra aveva tenuto tutti col fiato sospeso. Poi l'ottimo Freccero ha stappato la champagne e strappato un sì a patto di far finta che la stavano spennando. Ma tutti sono passati per il vaglio d'Adriano. Attorno al tavolo censorio chi sembrava più saggio ed ascoltato era Carlo Freccero, poi si esprimeva il Molleggiato, indi Cerami e dulcis in fundo la ricca (d'idee e contratti) signora Claudia Moroni in arte Mori. Madame Celentano all'inizio era dura e pura, poi le polemiche e qualche strattone alla borsa - essendone lei la tenutaria - l'hanno addolcita non poco. Con fiero cipiglio assisteva a tutte le riunioni il vice Del Noce, Giampiero Raveggi, dirigente più altro in grado dopo l'austero autosospeso. Crozza l'han tagliato a piene mani. E non solo lui. Nulla invece per Benigni, intoccabile ma garantito - giurin giuretta che non esagera - dal suo paroliere Cerami. Non è finita. L'altro grande censurato della storia del centrodestra Beppe Grillo ha preferito restare tale. Doveva partecipare alla prima serata, tutto organizzato. Poi, colpo di scena: non vengo, non mi conviene. E allora corsa contro il tempo. Chi è pronto a tutto pur di apparire? Ma certo, il Santoro, che doveva andare all'ultima puntata. Lui è disposto a tutto. Basta esserci, alla Rai, la sua Rai. Ve ne accorgerete.

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