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Pera: «Anche gli italiani nei gulag»

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A Berlino il presidente del Senato rievoca le vittime dei regimi totalitari

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«Dei campi di sterminio comunisti e nazisti sappiamo quasi tutto. Gli impegni ripetuti ad ogni occasione utile di non cadere mai più in crimini tanto orrendi sono solenni. E gli sforzi per costruire istituzioni e un costume democratico in grado di prevenire simili tragedie sono costanti« ha detto nel suo discorso il presidente Pera. «E però c'è ancora una domanda che è stata sollevata poco e su cui invece occorre insistere. Perché la consapevolezza della portata di questi immani drammi del Novecento non è entrata nella coscienza collettiva? In particolare, perché ancora si stenta a riconoscere l'ampiezza del terrore in Unione Sovietica?» è la domanda che provocatoriamente rivolge Pera sottolineando che «grazie al suo "partito-stato", il comunismo ebbe la possibilità di diffondere il mito collettivo dell'"uomo nuovo". La "grande menzogna" fu imposta con una propaganda totale, una censura totale, una chiusura totale dei confini. Il resto fu fatto con il terrore di massa. La possibilità di manipolazione dell'informazione raggiunse vette fino a quel momento inimmaginabili». Pera ha ricordato quanto scrisse George Orwell secondo cui «la menzogna organizzata praticata dagli stati totalitari non è, come alcuni ritengono, un espediente temporaneo, simile all'inganno nei tempi di guerra. È qualcosa di connaturato al totalitarismo, qualcosa che continuerebbe anche se cessassero di essere necessari i campi di concentramento e la polizia segreta». Secondo Pera la spiegazione di Orwell è corretta ma «non risponde completamente alle nostre domande. Basta il caso ucraino a dimostrarlo. Non si può attribuire soltanto alla censura e alla propaganda staliniana il clamoroso ritardo di almeno mezzo secolo della reazione da parte dell'opinione pubblica mondiale all'holodomor - la parola ucraina coniata per indicare lo sterminio di massa attraverso la fame, e che oggi rappresenta uno degli elementi che definiscono l'identità nazionale ucraina. Per comprendere perché le carestie degli anni 1932-33, che causarono tra i 5 ed i 7 milioni di vittime, in prevalenza contadini ucraini, ancor oggi non sono state adeguatamente notate dall'opinione pubblica occidentale non basta Stalin. Occorre ricordare anche l'aperta complicità e gli sforzi deliberati di alcuni ammiratori intellettuali occidentali di Stalin». E in Italia? Pera afferma che «solo una piccola minoranza è a conoscenza che più di mille nostri connazionali - esattamente 1028 è il numero fino ad oggi accertato - finirono i loro giorni nei gulag o furono fucilati durante il grande terrore staliniano». «La metà di questi uomini apparteneva alla comunità italiana di Kerc, in Crimea, gli altri erano per lo più emigrati politici antifascisti, soprattutto militanti comunisti. La loro storia non è diversa da quella di tanti altri rifugiati politici, profughi, prigionieri di guerra, intere comunità emigrate da altri Paesi europei: fuggiti da regimi oppressivi e liberticidi, cercavano nella nuova patria sovietica la realizzazione dei propri ideali e hanno invece trovato persecuzioni, torture fisiche e morali e spesso condanne a morte. Alcuni, con grande coraggio, seppero opporsi alla deriva morale della delazione, alle pressioni del regime affinché denunciassero i propri cari e gli amici in cambio della salvezza. Non di meno, su di loro è caduto il più assoluto silenzio. Solo da ultimo la cortina sembra rompersi in qualche punto».

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