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Martino: «Un accordo per il ritiro dall'Iraq»

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Il ministro apre all'opposizione. Ds e Margherita dicono di sì, Rifondazione e Verdi rispondono no

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Lo dice il ministro della Difesa, Antonio Martino, secondo cui può esserci «convergenza» su questo punto tra governo ed opposizione. E lo dicono i Ds, con Fassino che avverte: «Se vinceremo le elezioni proporremo un calendario per il ritiro, che non avverrà certo in 24 ore». Un'affermazione che trova consensi nel centrosinistra, ma non da parte di Prc e Verdi, che insistono per il ritiro immediato. Intervenendo ad un convegno dei Ds su «Le nuove sfide per la Difesa italiana», Martino ricorda «le diversità che hanno diviso governo e opposizione sull'Iraq», ma aggiunge che «di fronte a tagliagole, criminali, fanatici che non esitano a sacrificare bambini di 10 anni con la cintura dei kamikaze, non si può essere indifferenti o neutrali. Non si possono anteporre logiche di politica interna quando ci si trova di fronte a questa situazione». Dunque, «credo che governo e opposizione - sottolinea il ministro - possano convergere su una ipotesi di ritiro graduale, subordinato alla effettiva situazione sul campo ove, via via, iniziano ad operare i reparti militari e di polizia formati e addestrati dalle forze internazionali». «Ritiro, non fuga», precisa Martino. «Tra ritiro e fuga c'è una differenza. E quella differenza ha un nome: tradimento. Perché a pagare le possibili conseguenze di eventuali, future scelte errate sarebbero gli abitanti di Nassiriya in primo luogo, e la credibilità globale del nostro Paese successivamente. Nè una cosa, nè l'altra debbono accadere». Il primo a replicare al ministro è Marco Minniti, responsabile Difesa e Sicurezza dei Ds, l'organizzatore del convegno. «Abbiamo chiesto oggi al governo - dice Minniti - che presenti un calendario certo e concordato del rientro delle nostre forze armate presenti in Iraq. Se il governo è disposto a proseguire questo percorso, siamo pronti a discuterne; se il governo invece non dovesse farlo, se dovesse permanere un'inazione, quel piano di rientro lo predisporremo noi, se gli italiani ci daranno la fiducia». Dal segretario Ds Fassino, poco dopo, gli stessi concetti. «Se vinceremo le elezioni - dice - proporremo un calendario per il rientro del nostro contingente che non è certo un ritiro immediato in 24 ore. In Iraq è in atto una transizione e il 2006 può essere l'anno in cui si accelera il passaggio dei poteri alle autorità irachene che sono state elette. Ciò consente la calendarizzazione del ritiro delle truppe». Un ritiro, aveva detto in precedenza, «che andrà fatto tenendo conto di questa evoluzione e discutendone con le autorità irachene e con gli altri Paesi che sono presenti in Iraq». Niente di strano o di nuovo, precisa il segretario Ds: «Ho detto quello che ha detto Prodi». Ma è proprio sulle «parole inequivocabili» di Prodi che insiste il Prc per chiedere l'immediato ritiro delle truppe italiane. E così Franco Giordano, capogruppo alla Camera, spiega che per il suo partito resta fermo l'impegno, assunto da Romano Prodi, per «uscire dal pantano iracheno appena ci sarà un governo alternativo a quello di Berlusconi». Critici anche i Verdi: «La proposta di Fassino riporta indietro di due anni il dibattito nel centro sinistra», dice Paolo Cento.

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