Iraq, un tesoro da 340 milioni di dollari
Si combatte sul campo, come in guerra, impresa contro impresa, l'uno contro l'altro per strappare sub-appalti ai capofila americani (Perini Corp, Lucent Technologies, la Kbr-Halliburton, Bechtel e General Electric, Louis Berger Group, Washington Group Int): il tesoro vale sessanta miliardi di dollari, da qui al 2007, secondo le stime della Banca Mondiale. Di questa torta l'Italia si è già aggiudicata una bella porzione, stimata in oltre 340 milioni di dollari di appalti. Ma secondo stime del ministero del Commercio estero, il nostro Paese può arrivare a 1.000-1.500 milioni perché la struttura economica irachena è ideale per l'attività delle piccole e medie imprese italiane. L'entità del businnes iracheno è svelato, nei dettagli, dall'ultima relazione semestrale 2005 del Cesis, il servizio di informazione e sicurezza che fa capo alla presidenza del Consiglio. Le opportunità sono ghiotte, anche perché in Iraq, a differenza dell'Italia, le privatizzazioni le stanno facendo davvero, attraverso le famose ordinanze Bremer. Il problema è che i paesi contributori fanno arrivare risorse inferiori a quelle promesse e molte di esse finiscono per essere dirottate sull'emergenza sicurezza. Ma il varo della Costituzione rende tutti un po' più ottimisti sulla possibilità di fare affari. Nel settore del petrolio le imprese italiane non hanno ancora, stando ai dati del Cesis, ottenuto una loro collocazione: ma l'Eni, scrive il Cesis, «vanta significativi rapporti pregressi testimoniati dall'aggiudicazione di consistenti contratti setto il regime di Saddam Hussein al momento "congelati" in attesa di una ristrutturazione del settore». L'Eni, per tenere sotto controllo la situazione, si è fatta promotrice di un corso di formazione per tecnici iracheni presso la scuola «Enrico Mattei» di San Donato Milanese. Il colosso italiano è ben piazzato per veder confermato quanto ottenuto in passato e forse anche per un ulteriore ampliamento, in particolare riguardo i grandi giacimenti di Rumayla, nel sud del Paese, zona sulla quale hanno messo gli occhi le grandi mutinazionali americane. Ottime anche le opportunità nel settore dell'elettricità, dove recentemente la «Bertoli srl» si è aggiudicata un subappalto per un importo massimo di 100 milioni di dollari, o per la «Nuovo Pignone Spa», società ex Eni, dal 1994 di proprietà della statunitense General Electric, che ha stretto un'alleanza con la romana Progetti Europa Global Spam (operante nel settore engineering) per la ricostruzione della centrale elettrica di Kirkuk. Un accenno merita anche il settore bancario, che potrebbe far gola agli «scalatori» di casa nostra: in campo per l'acquisizione di pacchetti di maggioranza di istituti di credito iracheni sono già scese alcune banche straniere, come «Hsbc» e «Standard & Chartered». Settore nevralgico del business è anche quello degli armamenti: qui l'Italia ha già posizionato i propri avamposti commerciali partecipando all'organizzazione del ministero della Difesa iracheno. Sul fronte delle costruzioni, i rapporti dell'Onu segnalano un deficit di circa un milione cinquecentomila unità abitative, per un valore di 25 miliardi di dollari. Un regime monopolistico regna, invece, sul settore delle comunicazioni, dove l'unica società al momento sul mercato è l'egiziana «Orascom Telecom Holding», che opera attraverso la locale «Iraqna» nell'infrastrutturazione di tutta l'area intorno a Baghdad. Un segmento importante del mercato dei sub-appalti è sicuramente quello delle commesse pubbiche: basti pensare che i ministeri iracheni hanno chiesto già la realizzazione di 324 progetti, di cui 35 infrastrutturali, per un controvalore di 43,5 miliardi di dollari. Il mercato è quasi interamente nelle mani degli States, ma nel giro dei subappal