Cade un altro «mito» Di Pietro resta solo
Un faccia a faccia che minaccia la scissione interna e un'accusa sbandierata ai quattro venti sulla gestione dei finanziamenti al partito. Antonio Di Pietro, ex magistrato, fondatore e anima contrastata di Italia dei Valori, autoproclamato paladino della legalità della politica, non vive certo il suo momento migliore, mollato anche dai suoi più fedeli alleati, un tempo, come Giulietto Chiesa che ha sentenziato: «Ho dovuto constatare una totale incompatibilità etica e politica tra me e lui». E proprio nei giorni in cui l'ex pm lanciava il codice etico al resto dell'Unione. L'ultimo addio, beffardo. Ma l'ultimo dopo una lunga serie che ha visto fare ciao ciao a Di Pietro già Pietro Mennea, Elio Veltri e Valerio Carrara. E poi Rino Piscitello e Claudio Demattè, così come Federico Orlando e Milly Moratti. E non è finita. Il suo partito, alla ricerca continua di un posto al sole all'ombra di Prodi, rischia di essere travolto dall'ennesimo mal di pancia che sta disidratando le piccole realtà del centrosinistra. Insomma, dopo i socialisti, adesso i «dipietrini». Ieri il via alle ostilità con la conferenza dell'opposizione interna convocata sul lastrico. Anzi, sul marciapiede, quello che corre davanti alla sede nazionale di "Italia dei Valori" in via Principe Eugenio a Roma. Niente permesso per entrare, porte chiuse a una cinquantina di «scissionisti» alla guida di Beniamino Donnici, leader della corrente del dissenso, «Partecipazione», primo dei non eletti al Parlamento europeo e assessore al Turismo alla Regione Calabria. Volevano denunciare la gestione dei finanziamenti pubblici al partito e contestare la linea politica dell'ex magistrato. E «riabilitare» le critiche mosse negli ultimi tempi da Achille Occhetto e Giulietto Chiesa nei confronti dei quali a suo tempo sono stati fortemente critici e oggi, invece, trovano le loro richieste dei rimborsi elettorali «del tutto comprensibili». «L'Italia dei Valori - spiega Donnici - è diventata un'associazione personale che fa capo a Di Pietro, un partito-bottega del quale lui ha le chiavi. E non è un caso che ci ha fatto trovare la sede chiusa. In realtà sembra il bunker di un imperatore in declino. Non c'è democrazia né dialogo». Oggi, forse, la resa dei conti durante l'esecutivo nazionale. Nel corso del quale potrebbe esserci una preoccupante epurazione. «Sarò sottoposto a processo ed espulso», preannuncia il leader dei "dissenzienti" Donnici che ieri, durante la conferenza stampa nel gazebo allestito davanti alla sede nazionale, ha tagliato la bandiera del partito a metà: ha conservando la fetta con la scritta «Italia dei valori», abbandonando quella con Di Pietro. Resa dei conti, dicevamo. In attesa di un congresso nazionale che non è mai stato convocato da quando è nato il partito e che non si sa quando e se sarà mai convocato. «Vogliamo un congresso nazionale - reclama Donnici, con il consenso di Mario Di Domenico, socio fondatore di "Italia dei Valori" insieme con lo stesso Di Pietro e la tesoriera Silvana Murra - con osservatori dell'Onu. Vogliamo lavorare per la costituzione del partito democratico». Ma con quanta preoccupazione l'Unione guarda all'ennesimo ondeggiare di una sua piccola anima tribolata? «L'Unione ci riconosca altrimenti ci costituiremo come soggetto autonomo», minaccia la corrente dissenziente «Partecipazione», che non ha condiviso alleanze con Occhetto, Pecoraro Scanio e i «benvenuto Pannella» e vuole soltanto ed esclusivamente appoggiare il partito dei moderati. E farne parte. Ma la questione interna a «Italia dei valori» non è soltanto politica. Ma anche economica. C'è di mezzo la faccenda del finanziamento pubblico al partito. «È strano - riflette ancora Donnici - che colui che ha scardinato il sistema del finanziamento illecito ai partiti, oggi gestisca in modo autonomo i cinque miliardi l'anno di vecchie lire che ci spettano di diritto, spettano a Occhetto e a Giulietto Chiesa, alle sedi regionali. Ci spettano novemila euro di contributo per me e per la Calabria, il rimborso, invece, lo inc