La denuncia del ministro «Ci sono in ballo tanti interessi, tante lobby e una massa finanziaria di 13 miliardi di euro l'anno»
Una frattura che è proprio l'ultima delle cose di cui ha bisogno questo governo. Ma Berlusconi sul destino del Tfr sembra irremovibile e ieri ha confermato di essere contrario a trattamenti preferenziali tra i fondi (chiusi, aperti e polizze). E adesso si potrebbe arrivare persino a un ripensamento della stessa riforma della previdenza complementare. «C'è una preoccupazione - ha detto Berlusconi - che ci sia una privazione nel sistema delle imprese di questi fondi che non ritornano al sistema dell'economia, ma sono impiegati in altre direzioni». Un avvertimento che Maroni non ha raccolto. Anzi, il ministro del Welfare è tornato a difendere il suo provvedimento e ha annunciato l'intenzione di dare battaglia in consiglio dei ministri, avvertendo che se non passerà il Carroccio bloccherà la stessa riforma delle pensioni (secondo la quale dal 2008 si potrà andare in pensione a 60 anni). E lo farà attraverso la presentazione di un emendamento alla Finanziaria. Un aut aut, questo di Maroni, che trova di nuovo l'appoggio del sindacato con il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti. Se pure i toni della polemica si sono abbassati rispetto ai giorni scorsi, le posizioni tra Berlusconi e il suo ministro del Lavoro continuano a restare distanti. «Riteniamo - afferma il premier - che si dovrebbero modificare alcune condizioni perchè nel nostro programma era esplicito il fatto che i lavoratori dovevano essere liberi. La libertà è fondamentale e deve presiedere i comportamenti di ciascuno», ha insistito Berlusconi escludendo, allo stesso tempo, che le parole di Maroni possano essere lette come una minaccia: «Ho visto le dichiarazioni ma non mi sembrano minacciose», ha commentato Berlusconi invitato dal ministro, in un'intervista ad un quotidiano, ad essere un «vero uomo di Stato» sul tfr. Poichè Governo e maggioranza hanno approvato la riforma delle pensioni - è la tesi di Maroni - sarebbe «schizofrenico» non dare il via libera al provvedimento di attuazione. «Dove vengano indirizzate le risorse - ha sostenuto - per me è cosa assolutamente irrilevante. Se poi si utilizza un fondo chiuso, uno aperto o l'assicurazione per me è indifferente, ma sceglierà il lavoratore. Oggi le assicurazioni sono discriminate perchè i lavoratori non possono decidere di affidare loro il tfr, mentre con la mia riforma questo si può fare. Quello che mi preme è che i giovani lavoratori, che oggi hanno una pensione ridotta per la riforma Dini, possano avere l'integrazione». Preoccupazioni condivide da Angeletti. Se non passa la riforma del Tfr, ha aggiunto Angeletti, «il sistema contributivo in atto darebbe ai lavoratori il 50% delle loro pensioni». E a scendere in campo contro «l'inquietante sistematico interventismo» di Berlusconi sulla questione è anche l'opposizione con l'ex ministro Rosy Bindi, responsabile delle politiche sociali della Margherita. La commissione Lavoro di Montecitorio, intanto, ha convocato per mercoledì prossimo le 23 parti sociali firmatarie dell'avviso comune. Entro il 5 novembre è atteso il nuovo parere parlamentare sul decreto legislativo. Il Consiglio dei Ministri avrà poi altri trenta giorni per approvarlo. La partita è di enorme portata. Alla fine del primo semestre 2005, gli aderenti a forme pensionistiche complementari (fondi pensione e Pip) erano circa 2.900.000, pari al 12% degli occupati, mentre le risorse destinate alle prestazioni ammontano a circa a 42 miliardi, pari al 3% del Pil. I fondi pensione di nuova istituzione (negoziali e aperti) contano quasi 1.500.000 iscritti (+2,8% rispetto alla fine del 2004), con un attivo netto pari a 9,2 miliardi di euro (+14% rispetto alla fine dell'anno); i fondi pensione preesistenti (cioè quelli istituiti prima del 1993) ne contano 660.000.