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Celentano non è cambiato Santoro sì

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..Ma mica ho detto che tutto il rock è bene e viceversa, no». Sta per scivolare, per esagerare, ma si riprende. C'è Ligabue a salvarlo. Eppure è stato il Celentano di sempre. Predicatore, demagogo, libertario, qualunquista e ambientalista. Ultimo romantico e furbo quanto basta. Attacca tutti, dal direttore di RaiUno al sindaco di Milano, da Berlusconi a Prodi. Ma poi attua la par condicio e afferma che non parteggia per nessuno dei due. E starà solo con chi attuerà il suo «sogno», la sua utopia bucolica di un mondo con più cultura e prati verdi. Sposa in pieno la causa di Michele Santoro, ma forse non si aspetta che in Tv l'ex teletribuno di Samarcanda e Sciuscià appaia così cambiato. Per dirla con lui non è più «rock» ma appare «lento». E gli si spenge in onda, mentre lui ha ha dato fuoco alle polveri con la tiritera (un po' demodè ormai) dei fuoriusciti Biagi, Grillo e Luttazzi messi a tacere dal premier e le prese in giro di Del Noce e dell'Annunziata. «Vedi, anche io faccio la battaglia che fai tu. Sono per la libertà di espressione. Oggi tutti hanno paura delle parole. Ma io aspetto, però, ad andare in Parlamento» e da vero «rockpolitiko» dà la sua stoccata a Santoro. Meglio farla da fuori al Parlamento come fa lui la politica, se poi si vuol stare in Tv. Poi non si smentisce e attacca subito Del Noce, il direttore-avversario che voleva autosospendersi a causa sua. È lui il suo bersaglio, diventa un tormentone insieme alle bordate a destra e sinistra in direzione ambientalista. «Chi si sospende è lento, chi si sospende è lento, però sè è una finta è rock e il sospetto è questo...». Fin dall'inizio regala con il riferimento a Del Noce. Cappottone, occhiali, camicia colorata, Celentano circondato dalla magnifica scenografia e canta «C'è sempre un motivo». In prima fila il direttore generale della Rai, Alfredo Meocci, mentre Del Noce dopo aver salutato, torna in albergo, per dire alla fine: «Avevo ragione è un programma politico». E come da copione, quello che temeva avviene. Meocci cerca di metterci una toppa: «Hai attaccato il capo di Raiuno su Raiuno, più liberi di così...». «Una rock-ciofeca», dice a caldo il ministro Landolfi che trova «Celentano lento e strumentalizzato». Bonatesta di An chiede le dimissioni di Meocci che risponde: «Non sono attaccato alla poltrona, vedremo». Santoro fa «tenerezza» all'Annunziata e pare offuscato pure al presidente della Vigilanza Gentiloni che vede la sua partecipazione come «uno spot all'art.21». Un Santoro lontano da quello che ricordiamo: emozionato, perso, che quasi implora il «suo» microfono. «...Finchè non lo avrò, non sarò tornato ad essere quello che ero...». E dopo aver ricordato la vicenda di Sofia, perde la testa, fa un appello alla sua «vecchia squadra televisiva» e alle figlie e conclude con «Viva la fratellanza, viva la libertà e la cultura!». Celentano se la prende invece con i sindaci di destra e di sinistra (compreso Albertini) che distruggono l'ambiente. «Sinistra e destra - dice l'ex Molleggiato - dicono che vogliono un cambiamento radicale, beh è questo, un mondo più bello. Direte che è utopistico, ma intanto stiamo andando verso la rovina e i ghiacciai si sciolgono». Per questo lui non farà «il tifo per Prodi o Berlusconi ma per chi dei due si avvicini a questo sogno». Insomma, la politica di Adriano è sempre quella della via Gluck. Celentano non è cambiato, Santoro sì.

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