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Prodi e Bertinotti, in Tv come i cavalieri dell'Apocalisse

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In prime time compare il segretario di Rifondazione comunista, secondo violino dall'archetto virtuoso, ospite di «Otto e mezzo». Cipiglio soddisfatto ma controllato, postura salda e riflessiva, stimolato da Giuliano Ferrara sui no dei no-global, Bertinotti forbisce ed esibisce un solido entusiasmo radicale, un po' come spada, un po' come scudo. Le sue parole si muovono leggere nel disegnare i futuri assetti dell'Unione, mentre si fanno baldanzose quando dissertano sull'espansione della sfera pubblica, auspicando un consolidamento della democrazia diretta e della socializzazione politica. Si ritrovano così temi bertinottiani come l'esaltazione dei momenti di confronto-scontro fra gli individui, di raccordo sociale, di rinnovamento sperimentale. Il tutto accompagnato da un pudico indietreggiare innanzi ad ogni principio morale universale, ad ogni lusinga poliziesco-autoritaria, con la ferrea volontà di osservare il mondo nella pancia della storia, dal basso, con gli altri. Un paio d'ore dopo, quando i bambini sono ancora svegli, Romano Prodi siede sornione dalla sua poltrona di casa Vespa. A Romano scappa il labbro per tre quarti, ma lui può. In fondo è il volto sano dell'italianità, la faccia tosta della sinistra. Lui è il campione di un'Italia che si interroga su come trovare un equilibrio virtuoso tra pluralismo e repubblicanesimo, tra liberismo e statalismo, tra proporzionale e maggioritario, e che vede nei valori della moderazione, dell'intesa comune la cifra stessa della propria sensibilità politica. Romano Prodi, a differenza di Mario Pirani, non si è mai servito della propria ragione in senso illuministico; non ha mai operato nel tentativo di dedurre il particolare dall'universale. Al contrario, si è sforzato di dedurre il particolare dal particolare, lasciando l'universale alle speculazioni dei dotti e alle certezze dei preti. In questa direzione, acquista notevole rilevanza la sua esperienza di cattolico-laico, che oppone al tradizionale universalismo cristiano, un particolarismo affettuoso, concreto e ruspante, dove religione e politica sono libere di fondersi. Nell'ascoltare le parole dell'aspirante premier, viviamo un continuo avvicendarsi fra coinvolgimento e straniamento, come se fossimo sulle ginocchia di un nonno cantastorie, intento a farci addormentare. Eccola allora la sinistra italiana, nel pieno del suo processo di mediazione fra uomini e idee, fiduciosa di poter armonizzare forze apparentemente antitetiche: appartenenza ed indipendenza, condivisione ed autonomia; patriottismo ed internazionalismo, tolleranza e contestazione. Diamo così respiro alle nostre suggestioni più gloriose, interpretando le primarie dell'Unione come una parabola biblica di aggregazione ed emancipazione. Prodi e Bertinotti, Esodo e Rivoluzione. Ma è oggi proprio il popolo italiano a vedere innanzi il suo deserto; una società civile scossa da conflitti e contraddizioni, un'identità nazionale polimorfa e cangiante chiamata a confrontarsi con se stessa dopo cinque anni di schiavitù sotto il faraone di Arcore. Eccoli qui i nostri condottieri, decisi a montare sulla sella del cavaliere, pronti a spalancarci le acque del Mar Rosso.

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