D'Alema: «Berlusconi è il diavolo»

Tentatore e innamorato, nella versione attuale di Andrea Camilleri e in quella d'antan (fine Settecento) di Jacques Cazotte (Il Diavolo. Tentatore / Innamorato, Donzelli editore). Duellanti: l'autore del commissario Montalbano e il presidente dei ds Massimo D'Alema. Non casuale, come contraddittore, visto che — nel racconto di Camilleri — il capo supremo di tutti i diavoli di terra è un certo Delamaz, identificabile (oltre che per il cognome) per i baffetti e la passione per la barca a vela. «Le varche», racconta Bacab, il lucifugo (un demonietto in forma di verme, che pratica abitudini e località del corpo umano che lo rendono un parente stretto delle piattole), «erano la sua passione, non sapeva arrisistiri a mattersi a fare lo skipper. Dicevano macari che era intelligenti, ma grevio e scostante». Antipatico, ed è anche questo un segno di riconoscimento del modello ispiratore. Dunque: Camilleri da una parte, e D'Alema dall'altra. Lo scrittore e lo dimonio in persona. In mezzo — a far da moderatore — Giovanni Floris, quello di Ballarò. E di fronte duecentocinquanta spettatori, ad affollare l'aula magna della facoltà di Studi Orientali di Roma. Roba da leccarsi i baffi (o i baffetti, per restare in tema). L'avvio è stato brioso, e l'illusione ha preso corpo. Un tono disinvolto e divertito, con Delamaz fiero di identificarsi con D'Alema (o viceversa) e Camilleri a spassarsela per aver fatto centro. Ma è durata poco: la compiacenza assatanata del pubblico ha fatto sì che il dibattito degenerasse presto in comizio, e i due (spalleggiati da Floris, e incitati dall'assemblea) hanno rivolto altrove le loro frecce, scegliendosi come bersaglio — di comune accordo — il solito satanasso: cioè Berlusconi. La satira — come accade spesso in questi casi da scuola — ha lasciato il passo all'invettiva. Sembrava un film della Guzzanti, e questo paragone non dovrebbe inorgoglire nessuno dei due (presunti) contendenti. Alla fine si può dire che la battuta migliore della serata (e infatti la platea ne ha riso di gusto, senza neppure coprirsi la bocca per pudore) è stata di Achille Campanile, citato da Camilleri, che in una delle sue folgoranti commedie in due battute, fece incontrare Sant'Antonio nel deserto con il principe degli inferi, e andò così, nel dialogo originale: «Sant'Antonio: "Diavolo, diavolo, perché mi tenti?". Diavolo: "Perché tentar non nuoce"». Sipario. Il comizio (nel quale l'anima girotondina di Camilleri s'è accomodata con quella politicamente corretta di D'Alema) è roba da cronaca politica, e neppure originale. Il pubblico applaudiva gli slogan e si sbellicava (moderatamente) agli insulti; annuiva quando D'Alema affermava che il centrodestra ha reso i poveri più poveri e i ricchi più ricchi; accoglieva con tiepido entusiasmo l'invito a votare in massa alle primarie perché «un Prodi indebolito renderebbe più forte Berlusconi»; condivideva in pieno l'idea che il conflitto politico si sia imbarbarito, per colpa (soltanto) del nemico. Chiudiamola qui, per dedicare un po' di spazio al tema della serata, che era Mefisto. L'inferno sovrappopolato di diavoli di sinistra — descritto da Camilleri nel consueto gramelot siciliano — è piaciuto molto a D'Alema: quei diavoli, ha detto, «formano una coalizione di eserciti: mi ricordano una comitiva che conosco abbastanza bene. Camilleri parla anche dei diavoli che non avevano legioni: conosco anche quelli, e chiedono collegi. Quei diavoli fanno una gran baraonda che talvolta somiglia alla coalizione nella quale militiamo». Belzebù affascina l'ex presidente del Consiglio: «Mi piace parlare del diavolo, che ha avuto uno spazio straordinario nella letteratura europea. Era il simbolo di un risveglio della curiosità e della trasgressione. Era un prodotto dell'Illuminismo». E gli piace (moltissimo, vanitoso com'è) anche Delamaz che rimprovera il povero diavolo estremista e girotondino, che non osserva la disciplina in un conflitto politi