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Casini difende la «sua» riforma elettorale

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Il presidente della Camera in campo: «La maggioranza ha tutto il diritto di andare avanti»

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Pier Ferdinando Casini sceglie la platea dei giovani di Confindustria, riuniti nel consueto appuntamento di Capri, per togliersi qualche sassolino dalle scarpe e l'intento risulta chiaro già dalle prime battute del suo intervento. Casini difende il proprio ruolo di garante «di tutti» come presidente della Camera e rinvia al mittente le accuse rivoltegli da Romano Prodi, accusandolo di aver accettato di guidare «da presidente della commissione Ue», l'opposizione nel suo Paese. «Voglio dire con chiarezza che come presidente della Camera ho un dovere ben preciso - scandisce Casini davanti ai giovani di Confindustria - quello di far rispettare le regole garantendole nella stessa misura all'opposizione e alla maggioranza. A questa linea mi sono attenuto rigorosamente e altrettanto intendo fare per il futuro». Subito dopo l'attacco a Prodi. «Qualcuno mi rimprovera una certa passione politica. Lo ammetto, ho la stessa passione politica di alcuni miei ben più grandi predecessori alla guida dell'assemblea legislativa», dice Casini citando Spadolini e Fanfani che «pur essendo arbitri inflessibili, mai dismisero il loro forte senso di appartenenza». «Comunque, vi rassicuro - ironizza Casini - la mia passione politica è di certo inferiore a quella dell'allora presidente della Ue, massimo garante dell'indipendenza delle istituzioni comunitarie, che accettò contemporaneamente di guidare l'opposizione nel suo paese d'origine». Tornando alla riforma della legge elettorale che «sta causando contrapposizione fra le forze politiche e incertezza nel paese», Casini ricorda che «in Parlamento l'opposizione sta ricorrendo all'ostruzionismo, come suo diritto, e la maggioranza sta utilizzando gli strumenti di cui dispone per esercitare il suo diritto altrettanto fondato, di decidere secondo i principi della democrazia». Ai giovani industriali, Casini rivolge qualche altro messaggio politico, replicando alla relazione di Matteo Colaninno di cui, dice sorridendo, «mi è piaciuto quasi tutto». «Una classe dirigente seria deve essere attenta, aperta alle critiche, ma non esserne paralizzata perché uno dei guai del nostro Paese è il gigantesco trasferimento di responsabilità che si sta attuando». Dunque, «bisogna essere aperti e se il caso modificare il proprio atteggiamento ma poi decidere, altrimenti si va verso una paralisi democraticà». Infine, il tema della leadership. Il metro per misurarne l'adeguatezza, dice «è piuttosto semplice», servono coraggio e responsabilità». Intanto il monito del Quirinale sulla riforma elettorale non è stato esattamente un fulmine a ciel sereno per la Cdl, tanto che Ignazio La Russa allarga le braccia e spiega che «forse i rilievi possono derivare da una nostra carenza di informazioni perché stiamo già lavorando da alcuni giorni su quei punti». I «tecnici» del centrodestra si sono trovati di buon mattino per cercare di individuare le possibili soluzioni. Gli «sherpa» della maggioranza mettono a punto una serie di emendamenti che dovrebbero correggere alcuni dei punti ritenuti passibili di obiezioni di costituzionalità. E, almeno sulle questioni dell'indicazione del premier e della tutela delle minoranze la soluzione pare a portata di mano. Per quanto riguarda il primo punto si utilizzerebbe la formulazione «proposta» al posto di «indicazione», e si espliciterebbe che vanno «fatte salve» le prerogative del capo dello Stato. Mentre per il secondo nodo verrebbe adottato un meccanismo che consentirebbe (attraverso una soglia di sbarramento regionale al 20%) di «garantire» 3 o 4 seggi alle minoranze linguistiche. Altro è invece il discorso dell'attribuzione dei seggi al Senato. Questione che resta irrisolta.

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