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Prodi riesce a far litigare Ds e comunisti

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Se il buon giorno si vede dal mattino, la polemica interna all'opposizione sul ritiro delle truppe da Kabul non è un buon presagio: qualora dovesse vincere le elezioni, la nuova maggioranza si troverebbe nella disagevole condizione di litigare prima ancora di iniziare a governare il Paese. Venendo ai fatti, Prodi, in un'intervista al Corriere della Sera, afferma di essere intenzionato, in caso di vittoria alle Politiche, a lasciare in Afghanistan le truppe italiane. Il Professore lancia una precisa stilettata a Bertinotti: «La politica estera la farà il premier non certo Bertinotti», il quale «sarà costretto ad accettare l'esito delle Primarie». Ma proprio la consultazione interna all'Ulivo, in programma il 16 ottobre, rischia di diventare, per Prodi, un boomerang inaspettato. Tanto che il leader di Prc si schermisce e rispedisce il dardo al mittente: «Alle Primarie mi basta conquistare il cinquanta per cento più uno». Una maggioranza assoluta poco futuribile, per la verità, ma che la dice lunga sugli intenti più che bellicosi di Bertinotti, che sulla permanenza delle truppe a Kabul ribadisce seccamente la sua posizione. «Se guardiamo all'Afghanistan e al Kosovo come sono oggi - afferma - sostengo che per il futuro si possa pensare a forme di intervento diverse da quello militare». «Come ci siamo già espressi - prosegue Bertinotti - noi siamo per il ritiro delle nostre truppe dall'Iraq e trovo che sia significativo che Prodi assuma questo obiettivo, di nuovo. Sugli altri due punti - Afghanistan e Balcani - abbiamo un dissenso che si è manifestato anche nell'ultimo voto parlamentare». Ma Prodi di andare incontro alle posizioni del leader di Prc pare non pensarci proprio. E, dalle colonne del Corriere, rincara la dose, elogiando addirittura il ministro degli Esteri Fini. In politica estera «mi ispirerò alla discontinuità - afferma il Professore - ma da quando Fini è alla Farnesina le cose sono migliorate». Davvero troppo per Bertinotti. E Rifondazione Comunista sbotta. Per Franco Giordano, capogruppo di Prc alla Camera, la posizione del leader dell'Unione sull'Afghansitan è «non condivisa». E i Verdi s'accodano, per bocca del coordinatore politico Paolo Cento: «Per la discontinuità in politica estera occorre ritirare i soldati dall'Iraq e dall'Afghanistan». Cento sostiene di apprezzare le parole di Prodi sul rientro delle truppe da Baghdad, tuttavia «resta la necessità di discutere in modo rigoroso anche il significato della presenza italiana in Afghanistan, Paese dove la guerra non ha portato emancipazione, né democrazia e che resta tutt'oggi il principale esportatore di droga». Parole dolci come il miele e pienamente condivise da Marco Rizzo, presidente della delegazione dei Comunisti italiani a Strasburgo: «La Spagna insegna che le scelte coraggiose e coerenti vengono premiate». «All'Italia - prosegue Rizzo - serve una forte discontinuità. Nessun cedimento, dunque, su pace, stato sociale, lavoro, diritti». Infine, la minaccia dell'europarlamentare Pdci, che la dice lunga sulle divisioni all'interno di un'Unione molto poco unita: «O il centrosinistra saprà essere all'altezza delle enormi aspettative degli elettori che ripongono fiducia in un cambiamento vero e strutturale, oppure il futuro governo sarà una esperienza fallimentare destinata ad essere breve». In soccorso del Professore scendono in campo di Democratici di sinistra e Dl. Marco Minniti, responsabile sicurezza e difesa dei Ds, apprezza la posizione di Prodi sulla riconferma delle missioni italiane in Afghanistan e nei Balcani, due missioni - sottolinea - che si svolgono sotto l'egida dell'Onu. Umberto Ranieri, sottosegretario agli Esteri per i Ds nella precedente legislatura, invece, dice senza mezzi termini «di condividere la valutazione di Romano Prodi sulla politica estera». Insomma, l'Unione si spacca. Per l'ennesima volta. Prodi e Ds da una parte, Rifondazione, Comunisti Italiani e Verdi - che cavalcano i movimenti pacifisti - dall'altra. L'ennesima dimostrazione di quanto sia flebile l'uni

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