Fazio, vittoria in Parlamento
Uno dei fattori chiave del provvedimento, la riforma di Bankitalia, passa in Senato ma la questione della vigilanza sulla concorrenza bancaria, che resta attribuita a via Nazionale, fa saltare la fragile tregua fra i poli. Il voto sul disegno di legge, al termine di una giornata tesa, slitta a martedì con la conseguenza di spostare, sempre a martedì, anche l'avvio della sessione di bilancio, che avrebbe dovuto avere inizio ieri. Nell'occhio del ciclone finisce direttamente il presidente del Senato Marcello Pera, accusato dall'Unione di aver forzato il regolamento e fatto slittare il voto, per evitare che l'Aula votasse il passaggio dei poteri di vigilanza all'Antitrust, un cambiamento strenuamente osteggiato dall'agguerrito partito «fazista» di Palazzo Madama. Il voto del provvedimento è ripreso ieri mattina in un clima tranquillo. Il comportamento dell'opposizione conferma la rinuncia all'ostruzionismo deciso per condurre in porto al più presto la riforma, ma passano alcuni emendamenti che determinano una stretta sulla responsabilità delle società di revisione dei bilanci. Poi arriva il «clou» del provvedimento, il voto sugli emendamenti all'articolo 19, relativo alle autorità di controllo. Gli emendamenti chiave sono due, uguali, rispettivamente di Giampiero Cantoni (Fi) e dell'opposizione, che propongono il trasferimento da Bankitalia all'Antitrust dei poteri di vigilanza sulla concorrenza bancaria. A far salire di livello la temperatura è la dichiarazione del rappresentante del governo, il sottosegretario all'Economia Maria Teresa Armosino, che sugli emendamenti in questione si rimette all'Aula. Il governo non si è esplicitamente espresso sul problema, osserva Armosino, ma «è inutile nascondersi dietro le facciate», dice, «c'è stato un atto di indirizzo per l'attribuzione delle competenze per finalità. Il governo, quindi, su questo tema si rimette all'Aula». Pera mette ai voti l'emendamento di Cantoni, e subito dopo Luigi Grillo (Fi) chiede di intervenire. Pera glielo concede, sospendendo il voto, fra le proteste dell'opposizione secondo cui il voto è stato già espresso ed è favorevole all'emendamento. Dopo Grillo, che attacca l'emendamento e anche il governo per essersi rimesso all'Aula, chiedono la parola Ivo Tarolli e Riccardo Pedrizzi. Il capogruppo dei Ds Gavino Angius interrompe dichiarando, «affinchè sia messo agli atti», che «nel frattempo sono arrivati trafelati 9 colleghi della maggioranza». Alla fine l'emendamento viene votato: due volte, la seconda con procedimento elettronico, per l'incertezza del risultato. L'emendamento viene bocciato per 9 voti e si scatena la bagarre. «Pera è il furbetto del quartierone», dice il capogruppo Dl Willer Bordon. «Ha avallato un voto truffa» rincara Angius. Secondo l'opposizione il regolamento del Senato è stato violato perché una volta iniziate le operazioni di voto non si può dare la parola per altre dichiarazioni. «Qui nessuno ruba niente. Le votazioni sono state regolari in tutta le legislatura», si difende Pera. Più tardi, la bocciatura della richiesta di Enrico Morando (Ds), di stralciare all'emendamento del governo la parte relativa all'azionariato, per consentire all'opposizione di approvare la parte del testo che condivide, porta l'Unione ad una nuova determinazione. Non riprenderà l'ostruzionismo ma chiederà ad ogni votazione la verifica del numero legale affinchè la maggioranza si assuma la responsabilità dell'approvazione del testo. Ma il numero legale, è di tutta evidenza, non c'è. La Cdl chiede che la risparmio sia votata insieme alla sessione di bilancio, ma non c'è la disponibilità dell'opposizione.